venerdì 22 giugno 2012

La teoria della Comunizzazione e l’abolizione della forma-valore


La teoria della Comunizzazione 
e l’abolizione della forma-valore

Una teoria della forma-valore come base per la comprensione della logica del capitale, della sua traiettoria storica, e delle sue contraddizioni, è strettamente collegata con una teoria della comunizzazione. La comunizzazione è inseparabile dall'abolizione della forma-valore e del capitale come valore che si valorizza, e della sua Akkumulationszwang, la sua pulsione ad accumulare. La comunizzazione implica l'abolizione del proletariato, la classe dei salariati, il cui lavoro astratto è la fonte del valore. Il socialismo o il comunismo non sono l'auto-affermazione del proletariato o del potere dei lavoratori e la creazione di una repubblica del lavoro. Lo sviluppo della teoria della forma lavoro, basata in buona parte sulle pubblicazioni di tutti i manoscritti che Marx ha messo insieme per la sua critica all'economia politica, un'impresa che è stata completata solo negli ultimi decenni, ha anche modificato la comprensione del socialismo e del comunismo che si è avuta tra la Seconda e la Terza Internazionale, come anche nella sinistra comunista storica (sia la sinistra tedesco-olandese che quella italiana, la sinistra consigliare e la tradizione bordighista)

Il cammino verso una teoria della comunizzazione nella quale il valore e il proletariato vengono aboliti è iniziato con La critica al programma di Gotha (1875) di Marx, nella quale venivano sottoposte ad una critica fulminante le basi teoriche per la formazione di un partito unificato Socialdemocratico in Germania, e nella quale Marx ha delineato per la prima volta la sua concezione di uno stadio più avanzato e meno avanzato del comunismo. Per Marx, nello stadio meno avanzato del comunismo, “giusto come emerge dalla società capitalista”, ancora impresso delle sue strutture e forme sociali, “il produttore individuale riceve dalla società...esattamente quello che le ha dato”[1]. In breve il lavoratore, dopo le deduzioni per i fondi sociali e l'espansione delle forza produttive, riceve il pieno valore del proprio lavoro. “Chiaramente qui opera lo stesso principio che regola lo scambio di beni finché si tratta di uno scambio tra equivalenti. ...un certo ammontare di lavoro in una forma viene scambiato per un pari ammontare in un'altra.[2]” Per Marx allora la forma valore regolerà nello stadio meno avanzato del comunismo sia la produzione che la distribuzione, e solo nel suo stadio più avanzato “la società può (potrà) superare completamente il ristretto orizzonte del diritto borghese ed iscrivere nella sua bandiera: Da ognuno secondo le proprie capacità, ad ognuno secondo le proprie necessità!”. La comunizzazione allora, intesa come abolizione della forma-valore, sarebbe preceduta da uno stadio post-capitalista nel quale la legge del valore regolerà ancora produzione e consumo. Per quanto radicale, agli occhi di molti socialisti la ricetta di Marx è stata scritta nel 1875, mentre oggi, in un mondo capitalista dove la riproduzione del proletariato è minacciata dai rapporti sociali capitalisti, e dalla stessa esistenza della forma-valore, una visione del genere è completamente inadeguata.
Mentre Marx non ha specificato la forma precisa in cui il il tempo di lavoro avrebbe determinato la produzione e la distribuzione nello stadio meno avanzato del capitalismo, l'onda rivoluzionaria scatenata nel 1917 ha portato all'ostinazione dei Boscevichi che la dittatura del proletariato, qualunque fosse la sua forma specifica, sarebbe stata basata anch'essa sul lavoro salariato; che la distribuzione dei prodotti alla classe lavoratrice sarebbe stata effettuata attraverso un salario e del denaro. È qui che nasce un dibattito all'interno della sinistr comunista storica (diverso dal dibattito sulla questione del partito o dei consigli dei lavoratori come organo della dittature del proletariato), un dibattito in cui Amedeo Bordiga insisteva – in polemica con Lenin e Trotsky – che mantenere l'esistenza di salari e moneta era una minaccia mortale per il proletariato, e che avrebbe riprodotto relazioni sociali capitalistiche. Due documenti importanti della sinistra comunista storica nel periodo 1930-1970  affrontavano la questione della forma-valore e della produzione e distribuzione comunista: I principi fondamentali della produzione e della distribuzione comunista, un testo collettivo del GIK (la sinistra tedesco-olandese) pubblicato nel 1930, con un importante “introduzione” di Paul Mattick nella sua ripubblicazione nel 1970, e Capitale e Comunità di Jaques Camatte, scritto negli strascichi del '68, all'interno dell'orbita politica della sinistra italiana (Bordighismo).[4]
I principi fondamentali proponeva l'idea che la produzione e la distribuzione comunista sarebbe stata basata sulla contabilità del tempo di lavoro (il tempo medio socialmente necessario di lavoro), con la distribuzione dei prodotti ai lavoratori – la cui condizione proletaria sarebbe stata universalizzata- effettuata attraverso un sistema di “vouchers di lavoro” ( Empfangsscheinen o bons de travail), basato strettamente sulle ore di lavoro effettuate. A differenza che nel funzionamento normale del sistema capitalista, dove è il mercato ad allocare il lavoro e determinare il valore attraverso lo scambio post festum, nella produzione e distribuzione  comunista questa determinazione potrebbe essere determinata razionalmente attraverso il tempo di lavoro come misura del valore senza l'intermediazione dello scambio. Questo, allora, era un sistema, come riconosce Mattick nella sua introduzione, “nel quale il principio dello scambio di equivalenti prevale ancora”[5] nel quale la forma valore forma ancora l'essere sociale, nel quale, come Marx riconosce nella sua Critica al programma di Gotha, “il diritto egualitario [equal right] soffre ancora costantemente di limitazioni borghesi”,[6] e il lavoro (labor, travail, Arbeit) stesso rimane lavoro proletario. Mattick, tuttavia, giudica che il testo di GIK sia superato in certi aspetti, superato dalla stessa traiettoria del capitale, dal prodigioso sviluppo delle forze produttive tra il 1930 e il 1970, attraverso il quale beni e servizi potrebbero essere prodotti in una tale abbondanza che “ogni calcolo della quota individuale del tempo di lavoro medio socialmente necessario diventerebbe superfluo” [7], e l'umanità potrebbe procedere direttamente verso quello che Marx ha chiamato lo stadio più avanzato del comunismo [8]
Camatte segue Marx nel distinguere tra uno stadio meno avanzato, il socialismo, e uno stadio più avanzato del comunismo, e insiste che “il comunismo non si può realizzare da un giorno all'altro,”[9] una posizione basata sulla tesi di Bordiga che ci siano tre stadi post-capitalistici: la dittature del proletariato, lo stadio del socialismo, e il comunismo. Per Camatte, la valorizzazione del valore deve cessare immediatamente, cosa che, dice, è il compito della dittatura del proletariato, ciononostante è consapevole che ognuno deve lavorare (“colui che non lavora non mangia”), che la condizione del proletario deve essere universalizzata, che l'esistenza umana, che nel capitalismo era mediata dal capitale, “ora è mediata dal lavoro [work]”.[10]. Inoltre Camatte è consapevole che un'”economia del tempo” continuerà a regolare quello che è diventato produzione comune; che tutto il lavoro sarà ridotto a lavoro astratto [labor],[11] e che tale lavoro manterrà la forma di lavoro salariato sotto la dittatura del proletariato, tuttavia “.. la base del fenomeno non è la stessa. In una società capitalista, il lavoro salariato è un modo per evitare di restituire l'intero prodotto all'individuo che l'ha prodotto. Nella fase transitoria, il lavoro salariato è conseguenza del fatto che non è possibile distruggere l'economia di mercato da un giorno all'altro.”[12] Nello stadio meno avanzato del socialismo viene cancellato il carattere di merce del lavoro, e la quota del lavoratore della ricchezza che ha creato è distribuita attraverso vouchers di lavoro basati sul tempo di lavoro speso dal lavoratore, dal lavoro astratto, misurato come tempo di lavoro medio socialmente necessario.
A questo stadio, come spiega Camatte, “..dobbiamo ancora avere a che fare con valori e il tempo di lavoro definirà sempre questi valori. Ma poiché l'obiettivo non è più di aumentare il tempo di lavoro, significa che il tempo di lavoro non deve più apparire sotto il velo del valore per assumere una funzione sociale; afferma il proprio ruolo immediatamente.”[13] Ma la rimozione del tradizionale velo capitalista non elimina la forma-valore, o l'assoggettamento del genere umano alle sue leggi di movimento. Infatti la riduzione stessa di tutto il lavoro in lavoro astratto, la stessa universalizzazione della condizione proletaria e dei suoi modi di lavoro, crea il rischio del perpetuamento del capitale e delle sue relazioni sociali. Inoltre, questa possibilità non viene esclusa dall'insistenza di Camatte sul fatto che i vouchers di lavoro che  lavoratori scambieranno in cambio di beni e servizi non possono essere accumulati, sono “validi per un limitato periodo di tempo e sono perduti alla fine di questo periodo se non vengono consumati,”[14] prevenendo in questo modo la rinascita del capitalismo. La questione non è quella della rinascita del capitalismo, quanto quella della sua continuata esistenza attraverso il fatto che il valore viene determinato dal tempo di lavoro, e lavoro astratto, sulla base del quale il capitalismo non è mai stato abolito. Per Camatte è solo allo stadio più avanzato del comunismo di Marx che: “tutte le forme di valore sono quindi seppellite; allora il lavoro non ha più una forma determinata [lavoro astratto?], non c'è più alienazione
La questione sollevata dalla teoria della comunizzazione come si è sviluppata negli scorsi decenni è se l'immaginario sociale di un periodo di transizione, di uno stadio più o meno avanzato del comunismo, non sia diventato – a questo stadio storico del capitalismo – un ulteriore ostacolo alla rivoluzione comunista, alla comunizzazione
La teoria della comunizzazione, come è stata articolata dai rivoluzionari negli ultimi decenni può forse essere riassunto nei seguenti termini, in un saggio di Bruno Astarian:
Comunizzazione non significa che il comunismo sarà stabilito agitando una bacchetta magica. Sarà stabilito attraverso un processo di lotta, con avanzamenti e ritirate della rivoluzione. Questo significa che azioni prese dai rivoluzionari mireranno all'abolizione del lavoro e del valore...qui e ora. Quando la rivoluzione attacca la proprietà capitalista, non lo fa con lo scopo di dare al proletario le proprietà che non possedeva prima, ma allo scopo di porre fine a tutte le forme di proprietà immediatamente [17]
In breve, la forma-valore, e il lavoro [travail, Arbeit] collegato ad esso, deve essere abolito dalla rivoluzione, non come culmine di un periodo di transizione, come ha sostenuto la sinistra comunista storica. Inoltre, mentre la comunizzazione è l'obiettivo immediato della rivoluzione, Astarian sottolinea che: “non dobbiamo confondere immediatezza con istantaneità. Quando diciamo immediatezza del comunismo, diciamo che l'obiettivo della rivoluzione proletaria non consiste più nella creazione di una società di transizione, ma nello stabilire direttamente il comunismo.”[18] Per Perspective Internationaliste quello che è fondamentale non è il contenuto specifico del lavoro [work] o dell'attività che deve essere immediatamente trasformato, per esempio il cibo, o le case, o le medicine dovranno essere prodotte. Quello che deve essere immediatamente abolito è la riduzione di questa attività in lavoro astratto, e la sua misura attraverso il tempo di lavoro socialmente necessario, che è il modo storicamente specifico in cui è esistito in una società capitalista. E che, ovviamente, implica l'abolizione di un modo di distribuzione di beni e servizi attraverso il tempo di lavoro, attraverso una forma di salario [le salariat] o anche di vouchers di lavoro. È nel corso stesso dell'agitazione rivoluzionaria, allora, e non alla fine di un periodo di transizione, che avviene la comunizzazione. Come RS [Roland Simon] insiste in SIC1: “la rivoluzione è la comunizzazione; non ha il comunismo come un progetto o un risultato, ma come il suo contenuto stesso.” [19]
Infatti nella rivoluzione stessa deve avvenire l'abolizione non solo di capitale e lavoro, ma anche del proletariato stesso. BL la mette in questo modo in SIC1: “ in questa lotta, l'appropriazione dei mezzi materiali di produzione non può essere separata dalla trasformazione dei proletari in individui immediatamente sociali; fare uno significa fare l'altro, e questa identità è portata dalle forme presenti delle contraddizioni tra capitale e proletariato.”[20] Non è, quindi, una qualche variazione di un pensiero utopista che ha portato PI a vedere la comunizzazione come integrante dell'agitazione rivoluzionaria stessa, ma piuttosto la logica del capitale, la sua specifica direzione storica, e la natura della crisi del capitalismo nella attuale congiuntura storica: l'impossibilità della riproduzione della condizione proletaria da parte del capitale a meno di massicce espulsioni di lavoro proletario dall'economia, la creazione di un grande pianeta di baraccopoli, e l'incombente catastrofe climatica, tutte cose connesse con la perpetrazione della forma lavoro. Sono queste stesse condizioni storiche e materiali reali che hanno reso la comunizzazione l'obiettivo immediato della rivoluzione oggi.
Ma e cosa ne è dell'abolizione dell'attività lavorativa [work], che è parte integrante della maggior parte delle teorie della comunizzazione? Il lavoro [work], come lavoro proletario, lavoro come lavoro astratto, lavoro come è stato storicamente sviluppato e mostrato dal capitalismo, deve essere abolito. Il lavoro [work] nella sua forma storica, e le relazioni sociali capitalistiche nelle quali la produzione e la distribuzione sono basate sul tempo di lavoro medio socialmente necessario, in tutte le sue forme, deve essere immediatamente abolito. Ma l'anti-travail [anti-lavoro, anti-labor] deve essere accompagnato da una visione dell'attività umana, praxis, che comprende il settore della produzione, liberato dai suoi rivestimenti storici (incluse quelle capitalistiche). Questo testo non è il luogo nemmeno per iniziare un'elaborazione di questo compito teorico, ma i suoi tratti generali devono essere almeno indicati. La comunizzazione non è la cessazione della produzione. Proprio il contrario! È l'inizio della auto-produzione di esseri umani, dell'auto-produzione delle relazioni sociali comuniste. L'azione umana non è stata limitata al lavoro [labor], travail, Arbeit sotto la coercizione dello sfruttamento e delle relazioni di classe. C'è una distinzione, allora, tra techné, poiésis, attività lavorativa [work] e lavoro [labor], tra il lavoro [labor] dello schiavo, del servo, del proletario, e l'attività lavorativa [work] [oeuvre, Werkle] dell'individuo sociale. Sono  precisamente questo insieme di differenze, tra lavoro [labor] e attività lavorativa [work] e le possibilità di essere create attraverso al comunizzazione, che i rivoluzionari devono iniziare ad esplorare: produzione,  work, beyond labor

Mac Intosh, 2012

Una versione estesa di questo articolo comparirà nel prossimo numero di Perspective Internationaliste internationalist-perspective.org/

Note


[1] Marx, Critique of the Gotha Programme in Karl Marx, The First International and After (Penguin Books), p. 346.

[2] Ibid.

[3] Ibid., p. 347.

[4] Mentre il testo di Camatte è in gran parte dedicato alla traiettoria della forma valore basata su una lettura dei manoscritti inediti di Marx (i Grundrisse, e "I risultati del processo immediato di produzione"), il capitolo dedicato al "comunismo e le fasi intermedie tra il capitalismo e il comunismo ", come il testo The Fundamental Principles of Communist Production and Distribution della GIK, appunti sul tema della communizzazione. Camatte ha trattamento di questo problema basandosi proprio sui testi di Mitchell (Jehan) in Bilan nel 1930, e soprattutto sui testi di Bordiga a partire dalla fine del 1940 e dirante gli anni 60.
[5] The Fundamental Principles of Communist Production and Distribution, Libcom, p.4.

[6] Marx, Critique of the Gotha Programme, p.346.

[7] The Fundamental Principles, p.5.

[8] Il quadro di Mattick di questa abbondanza sembra troppo ottimista oggi, soprattutto alla luce di decenni di "sviluppo" in gran parte basato sulla crescita del capitale fittizio e bolle finanziarie, mentre la riproduzione del proletariato è stata violentemente minacciata, e sempre più grandi masse di lavoratori vengono permanentemente espulsi dal processo di produzione. Mentre queste domande sono, infatti, importanti, esse non precludono una visione della rivoluzione in cui la comunizzazione, intesa come l'abolizione della forma valore e del lavoro proletario a cui è aggiogata, non può essere rimandata fino ad uno stadio superiore o al completamento di un periodo di transizione.

[9] Jacques Camatte, Capital and Community (Prism Key Press, 2011), p. 261.

[10] Ibid., p. 265.

[11] Ibid., p. 272.

[12] Ibid., p. 266.

[13] Ibid., p. 279.

[14] Ibid., p.288.

[15] Ibid., pp. 297-298.

[16] Una domanda che sembra essere un diversivo, anche se molto inchiostro e carta è stato sono stati utilizzati per discuterne nell’ambiente nella pro-rivoluzionario, è quando la comunizzazione, a differenza di un periodo di transizione, è diventata una possibilità storica per il proletariato. Era possibile la communizzazione nel 1789, nel 1848, nel 1871, nel 1917, nel 1936, ecc? La comunizzazione non si è verificata allora, e mentre possiamo discutere perché non lo ha fatto, il compito oggi è quello di confrontarsi con la necessità storica della comunizzazione nell'epoca presente, ed i pericoli che affronta il lavoratore collettivo in un mondo capitalista che sopravvive nella sua crisi attuale.

[17] Bruno Astarian, “Communization  As a Way Out of the Crisis,” Libcom, p. 1.

[18] Ibid.

[19] RS, “The Present Moment,” SIC 1, p. 95.

[20] BL, “The Suspended Step of Communisation,” SIC1, pp. 147-148.


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