lunedì 9 gennaio 2012

Wobbly e Zusammenbruchstheorie

Wobbly e Zusammenbruchstheorie
Sul rapporto tra la tradizione wobbly e la sinistra comunista tedesco-olandese

alcuni compagni/e di Connessioni per la lotta di classe
Inverno 2012, Bologna

Salutiamo l’uscita del libro di Graziano Giusti, La rivoluzione dal basso, Dagli Iww ai Comunisti dei Consigli (1905-1923), per le edizioni Quaderni di Pagine Marxiste, di cui stiamo apprezzando la proficua opera di ricerca storica e analitica indirizzata verso diversi filoni del movimento operaio. E’ una ricerca controcorrente nel panorama della sinistra autoctona, toccando filoni storici del movimento operaio non-convenzionali: gli IWW statunitensi e la sinistra comunista tedesco-olandese.


Recentemente il richiamo a questi filoni, soprattutto all’epopea wobbly, è stato per molti versi strumentale, e spesso molto dozzinale, provocato dalla ricerca di nuovi miti fondativi (visto il fallimento dei precedenti) che hanno però allontano ancor più la ricerca verso le ragioni della nascita e del declino/sviluppo di queste correnti, rinverdendo un vizio conclamato nella sinistra nostrana, amante di esotismi minoritari o orfana di paradisi socialisti.

Negli anni 70 ci fu una ripresa sia storiografica sia politica di queste correnti che possiamo definire dell’autonomia operaia/proletaria (con la a minuscola), le analisi di autori provenienti da queste esperienze pensiamo a P.Mattick ebbero echi internazionali (1), cosi come la pratica dell’azione diretta ritorno ad essere quantitativamente un fenomeno importante, cosa che favori la circolazione di una serie di materiali storici di queste correnti, che avevano posto fin da subito al centro la categoria di autonomia di classe.

Da un punto di vista organizzativo questi filoni si sono estinti, a cavallo degli anni 20, ma non si può valutare la loro “efficacia” sotto questo aspetto, in quanto, lo stesso approccio era segnato non tanto da una invarianza organizzativa ma dalla consapevolezza dell’invarianza della lotta di classe, che in determinate fasi cristallizzava la forza di classe in determinate organizzazioni. L’importanza della sinistra comunista tedesco-olandese starà nel bilancio della sconfitta e nell’abbracciare una analisi dell’accumulazione capitalista che supererà l’empirismo contingente, piuttosto che la diretta operatività di massa che ha esercitato all’inizio degli anni 20. Lo stesso discorso si può trarre se si analizza gli IWW, dove al di la della loro capacità organizzativa (fortemente innovativa e dinamica), questa esperienza assumerà un significato particolare nei tratti meno organizzativistici: ossia essere riusciti in un determinato contesto a dare forza ad una specifica comunità proletaria superando le divisioni etniche, religiose, culturali, contrapponendo alla civiltà capitalista dei diversi e nuovi rapporti sociali.

Pur ritenendo importante osservare la nascita di queste esperienze dentro specifici contesti sociali, ossia con una relativa composizione di classe, riteniamo che una lettura di questo tipo comunque necessaria, sia parziale se presa come totalizzante, poichè troppo legata ad una visione sociologica schematica, che ingabbia la pluralità di soggetti proletari contenuti al loro interno, riteniamo più corretto porre al centro la categoria di integrazione e de-integrazione, ossia la nascita di comunità proletaria e comportamenti e esperienze proletarie di massa che agivano in contesti dove il meccanismo escludente capitalista creava la loro autonomia e comunanza, dove vi si può leggere una ricchezza di soggetti e comportamenti sociali tra loro contradditori.

Da un punto di vista storico, nello specifico quelle della sinistra comunista tedesca-olandese, nasce come risposta di sinistra dentro al ciclo di sollevazioni che attraversarono l’Europa all’inizio degli anni 20, arrivando fin da subito ad una divaricazione sia con il campo anarchico propriamente detto sia con il campo leninista.

I punti su cui si caratterizza inizialmente la sinistra comunista tedesco-olandese si possono riassumere nei seguenti:

-La convinzione che con la prima guerra mondiale il capitalismo fosse entrato in una crisi irreversibile e che non avrebbe più saputo garantire, neppure economicamente, le condizioni per la propria riproduzione la Zusammenbruchstheorie: la teoria del crollo.
-Un deciso antiparlamentarismo e anti-sindacalismo visto come compromesso di classe in un periodo di crisi che bloccava e istituzionalizzava la classe ponendo invece l’accentuazione sull’importanza delle azioni autonome di massa.
-La convinzione che compito del partito non era tanto l’organizzazione quanto il rischiaramento delle masse proletarie, cioè l’innalzamento della loro coscienza di classe, da cui sarebbero automaticamente conseguiti sviluppi organizzativi.
-La constatazione dell’isolamento della classe operaia dei paesi dell’Europa occidentale, e quindi la impossibilità di praticare una politica di alleanze con i ceti medi o con i contadini, offrendo quindi una via diversa presa dalla Russia, partendo dal diverso sviluppo dell’organizzazione del lavoro e dai processi di accumulazione capitalista. In un primo periodo la stessa sinistra comunista riteneva corretta e rivoluzionaria la strategia dei bolscevichi per la Russia ritenendo questa la via socialista per questo specifico paese, ma non per l’Europa e gli USA. Successivamente, anche se non in modo omogeneo, un simile approccio muterà notevolmente mettendo in discussione la stessa analisi di classe della rivoluzione russa, vista unicamente come rivoluzione borghese e quindi integratrice di classe rispetto al sistema di produzione capitalista. Il leninismo veniva quindi visto come modello social-democratico di sinistra dove la differenza rispetto alla social-democrazia stessa stava unicamente sui tempi e suoi mezzi ma non nel contenuto. Un simile impianto anche se con sfumature diverse diventerà patrimonio comune di tutta la sinistra comunista tedesco-olandese
-L’attribuzione di una “coscienza di classe rivoluzionaria”-per lo meno tendenziale- all’intero proletariato, inteso come un complesso tendenzialmente omogeneo e comunque privo di grosse contraddizioni interne, e a cui di conseguenza necessitava soltanto la comprensione dei propri “reali interessi di classe” per diventare rivoluzionario.
-Un giudizio approssimativo sul movimento socialdemocratico e sindacale e sui loro reali punti di forza all’interno della classe, con la conseguente sottovalutazione delle capacità di tenuta e recupero dell’ideologia “riformista” e dei meccanismi integratrici del capitale stesso.

Abbiamo voluto sinteticamente riassumere i punti cardine, tuttavia già nello sviluppo di questa corrente esistevano sfumature diverse proprio a partire dalla Zusammenbruchstheorie, che di fatto polarizzava la sinistra comunista tedesco-olandese già in due campi distinti, tra chi metteva in risalto gli elementi soggettivi e chi gli elementi oggettivi rispetto al rapporto lotta di classe/crisi.
La prima prendeva le mosse dalle impostazioni teoriche proprie della scuola olandese con al centro A.Pannekoek, uno dei primi teorici del soggettivismo operaio, che arrivava ad un neo-idealismo (dimensione che avrebbe colpito anche lo stesso filone “operaista” italiano) dove era la volontà operaia autonoma l’unico definitivo motore storico.
La seconda era debitrice delle considerazioni teoriche di R.Luxemburg, la prima ad essersi confrontata con la Zusammenbruchstheorie, nel famoso testo: L’accumulazione del capitale. arrivando nelle sue forme più estreme ad un determinismo economico-meccanicistico (dimensione che avrebbe colpito anche lo stesso filone “bordighista” nei suoi tratti biologico-deterministi).
Questo dibattito e polarizzazione che abbiamo riscontrato all’interno della sinistra comunista tedesco-olandese, rivive ancora oggi, in forme ovviamente mutate e con soggetti diversi dentro l’attuale dibattito politico. Gia D.Montaldi nel suo testo Korsch e i comunisti italiani, del 1975, aveva scorto nei dibattiti che attraversarono le sinistra comuniste negli anni 20-30 i nodi non risolti al momento della crisi maggiore, che ricomparivano ciclicamente: “se si guardano certe relazioni sul dibattito in corso tra i gruppi comunisti di sinistra in quegli anni, picchia come un dito nell’occhio la coincidenza con il dibattito attuale tra spontaneisti e sostenitori del partito”.

La principale forza organizzata della sinistra comunista tedesca negli anni 20 era la KAPD (il partito comunista operaio tedesco, che raccoglieva alla sua fondazione la maggioranza del movimento comunista in Germania). La KAPD si dividerà fin da subito proprio su questi punti: soggettivo-oggettivo (2). Va sottolineato che prima di questa divisione già si era consumata una precedente suddivisione tra chi poneva fin da subito al centro la questione dell’autonomia operaia/proletaria come sorpassamento immediato del piano partitico/sindacale come la AUU-E influenzata da Otto Ruhle(3) dove gli echi dell’epopea wobbly erano molto forti.
Pur rappresentando una corrente minoritaria all’interno del movimento operaio tedesco (se rapportati ai social-democratici o ai socialisti) è significativo che comunque la sinistra comunista tedesco-olandese nel suo insieme raccogliesse decine di migliaia di operai e proletari su posizioni radicali in Germania e in altri paesi europei, arrivando a preoccupare gli stessi equilibri sovietici, non è un caso che il libro più violento dello stesso Lenin sarà indirizzato principalmente proprio contro questa corrente: L’estremismo malattia infantile del comunismo.

Il perché esiste una convergenza tra la sinistra comunista tedesco-olandese e gli IWW era legato alla riaffermazione dell’autonomia di classe, proprio perché si erano dovuti confrontare con un livello di contraddizione proprio di paesi a capitalismo maturo e con relativi cicli di crisi/ristrutturazione che polarizzava a livello di tendenza gli interessi in due classi contrapposte definite. Anche se estimatori e sostenitori del sistema sovietista russo, negli USA e in Europa consideravano (gli IWW e la sinistra comunista tedesco-olandese) impossibile ipotizzare una applicazione automatica dei meccanismi leninisti.

Non è un caso che alla fine degli anni 20 si avrà una confluenza diretta di militanti tedeschi di questa corrente, emigrati negli Usa, nella partecipazione diretta all’attività pratica e teoria del movimento wobbly(4).
Sarà proprio principalmente questa componente (la commistione della tradizione wobbly con quella della sinistra comunista tedesca olandese) che svilupperà e supererà certi limiti dovendo fare sia un bilancio della sconfitta, l’impossibilità dello sviluppo rivoluzionario negli anni 20, sia il confrontarsi con un nuovo ciclo di accumulazione e di tendenze “regolatrici” di un capitalismo maturo, che troverà negli USA il suo maggiore interprete.

Si analizzerà la sconfitta mettendola in relazione con il ciclo economico di accumulazione, nel mancato sviluppo di nuovi rapporti sociali tali da mettere in discussione i vecchi rapporti sociali capitalistici. Non rispetto al problema di programmi rivoluzionari contrapposti a quelli riformisti o reazionari, ne alla contrapposizione tra operai specializzati e non-specializzati, ma come sviluppo stesso della lotta di classe, che metteva in comunicazione/contrapposizone il vecchio movimento operaio con il nuovo movimento operaio. Il socialismo non era mai stato il fine del vecchio movimento operaio (indipendentemente dai mezzi attuati pacifici o violenti) ma, piuttosto, una semplice copertura per un obiettivo completamente diverso: la conquista del potere politico, come strumento per una partecipazione al surplus creato in una società basata sulla divisione tra classi, per uno sviluppo di un modello produttivo capitalista più razionale. Per certi versi il marxismo stesso del vecchio movimento operaio (positivista e produttivista) era strumento capitalistico che spingeva e favoriva lo stesso meccanismo integratore del capitale.
La forma consiliare, la gestione della società in quanto tale, era il punto di contatto tra il vecchio e il nuovo, dove il vecchio vedeva il punto di arrivo mentre il nuovo il punto di inizio, come forma di lotta, come manifestarsi dell’autonomia di classe, più che della gestione vera e propria.
Anche se esisteranno comunque echi profondamente gestionisti questi erano comunque qualitativamente diversi, perché mettevano comunque al centro la gestione diretta dei lavoratori della società a differenza di chi riteneva possibile sviluppare socialismo con Taylor…

Questo riflessione rompeva radicalmente con le precedenti impostazioni, anche le stesse che avevano influenzato la stessa nascita della sinistra comunista tedesco-olandese. Dove il punto era non tanto l’elemento regolatore ma l’elemento di negazione che l’azione autonoma produceva, rispetto ai rapporti sociali capitalistici. Ma questi nuovi rapporti sociali erano comunque all’interno di un determinato sviluppo dell’accumulazione capitalista, ossia la qualità dell’azione autonoma delle porzioni operaie radicali non trovando una dimensione quantitativa erano comunque destinate a richiudersi. A questo punto anche il ruolo della soggettività veniva letto sotto un diverso profilo: “I gruppi di comunisti consiliari sostengono, che nelle condizioni attuali non è possibile che avvenga nessun vero cambiamento sociale, se le forze anticapitaliste non diventano più forti di quelle che sostengono il capitalismo, e che è impossibile organizzare forze anticapitaliste di tali dimensioni all’interno dei rapporti capitalistici. Dall’analisi della società attuale e dallo studio delle lotte di classe precedenti, essi concludono che l’attività spontanea delle masse scontente creerà, nel corso di ribellioni, le organizzazioni adatte alle circostanze, le sole in grado di mettere fine, irrompendo dai confini delle condizioni sociali, all’attuale assetto sociale.”(5).
La stesso manifestarsi della lotta di classe era vista non come un dato a-dialettico, ma come un fenomeno che assumeva connotati radicali quando esprimeva de-integrazione rispetto al sistema stesso (nei suoi aspetti sociali, economici, politici). Non è un caso che il ciclo di lotte operaie nate dopo il 29, nell’epoca rosveltiana verranno analizzate, si come manifestazioni di lotta di classe, ma dove al di la della radicalità delle forme di lotta, agiva il vecchio movimento operaio, nella richiesta di un maggiore regolazione e integrazione.
E’ interessate sottolineare che le lotte operaie del New Deal non erano viste come radicali. Nasce in quegli anni quello che si sarebbe chiamato welfare, la mutua, il sussidio di disoccupazione, le vacanze pagate, ecc.: il salario sociale. Agli operai, di cui veniva riconosciuto il peso politico, veniva concesso il potere di influenzare la direzione dello sviluppo, ma perdendo ogni punto autonomo e radicale di classe rispetto ai meccanismi stessi del modo di produzione capitalista. Questo ciclo di lotte infatti, pur disseminato da episodi di notevole combattività, non sfuggirà mai al controllo globale dello Stato, Roosvelt, oltre ad essere ammiratore di Keynes, studiava la legislazione del lavoro dell'Italia fascista, lanciando nel 1933 un programma di riforme - appunto il New Deal, in italiano nuovo contratto - che liberava, ma solo per dirigerle ed incanalarle, le forze compresse di una classe operaia battuta e demoralizzata scagliandola contro a quelle componenti della borghesia industriale americana che era diventata un freno stesso all’accumulazione capitalista. Il movimento degli scioperi scatenatosi soprattutto dopo il 1933, era il prezzo che il capitale pagava per realizzare la riorganizzazione/ristrutturazione di se stesso. In questo gigantesco meccanismo di riorganizzazione capitalista, il movimento operaio (nelle sue porzioni quantitative maggioritarie) pur attraverso forme radicali andava verso una maggiore integrazione, rendendo di fatto debole ogni organizzazione che si poneva in modo autonomo di fronte al capitale.

Non è un caso che gli stessi IWW in questa fase avranno come unico bacino d’azione non tento gli operai di fabbrica ma i disoccupati i precari (ossia minoranze marginalizzate dalla ristrutturazione roosveltiana) dentro lo sviluppo della nuova economia mista (privato-pubblico) americana. Un meccanismo che non poteva in alcun modo essere scalzato dall’iper-volontarismo, in quanto i meccanismi qualitativi (nuovi rapporti sociali) non si fondevano con meccanismi quantitativi (i processi di de-integrazione di classe).
Ecco come descriveva il tipo di attività e di limiti lo stesso Mattick: “All’inizio della crisi del 1929 ci fu un periodo di relativa calma. In generale si riteneva giusta la previsione di Hoover: la crisi sarebbe stata breve e un periodo di prosperità vi avrebbe fatto seguito. I disoccupati erano completamente perduti se non avevano prima risparmiato: nessuno era disposto ad aiutarli. Dopo breve tempo nel 1930 e 31, ci furono manifestazioni di massa, soprattutto di fronte agli uffici assistenziali dei poveri; ci furono scontri, atti disperati e interventi della polizia. Durante alcune di queste grosse manifestazioni la polizia sparò sulla folla, ammazzando alcuni dimostranti. In seguito ad una manifestazione durante la quale la polizia aveva sparato uccidendo 12 persone, quasi 2 milioni di persone scesero per le strade di Chicago: di fronte a queste masse, la polizia non poteva più nulla. Tutta la città era bloccata. Dappertutto c’erano poliziotti, ma i manifestanti erano talmente fitti, che ogni poliziotto era a tal punto circondato dai manifestanti da impedirgli di usare le armi. Nei negozi abbandonati dai commercianti falliti, parecchi in ogni strada, gli abitanti organizzavano riunioni e discussioni. La gente si riuniva di giorno e di notte, a secondo delle necessità. Si trattava di un movimento del tutto spontaneo, il quale all’inizio non aveva né un nome né organi sui quali esprimersi. Così, lentamente noi cercammo di organizzare il movimento, facendo proposte durante le assemblee, distribuendo volantini. Manifestazioni quasi tutti i giorni. Molti erano costretti ad abbandonare le proprie abitazioni. I padroni di casa cercavano con mezzi legali, con la polizia, con l’ufficiale giudiziario, di sfrattare i disoccupati. Ma appena i mobili erano stati trasportati sulla strada e la polizia si era allontanata, gli appartamenti venivano di nuovo occupati. Spesso la polizia tornava, causando scontri e morti. Molte furono le azioni di solidarietà spontanea.
Il nostro gruppo organizzava spesso da mangiare. Cucinavamo in comune nei negozi vuoti dopo aver raccolto senza pagare tutto il mangiabile, poi li distribuivamo ai disoccupati. Le attività dei gruppi politici all’interno del movimento erano diverse città per città. A New York, per esempio, dove il Partito Comunista e i socialisti erano abbastanza forti, le assemblee decidevano risoluzioni da mandare a Washington con le varie delegazioni. Tutto veniva canalizzato nel solito modo di far politica. Noi invece preferivamo l’azione diretta, preferivamo deviare le tubature del gas in modo da far avere a tutti il gas gratuito, o illuminare le abitazioni con la luce elettrica direttamente dai lampioni pubblici. Noi iniziavamo con una azione, e poi, spontaneamente, altri gruppi continuavano sulla stessa strada. A questo livello di massa del movimento, la polizia preferiva non più intervenire. Scelse un’altra tattica. Due anni dopo l’inizio della crisi la miseria di massa aveva raggiunto un tal punto, che se la polizia avesse continuato con gli arresti e gli assassini, la gente sarebbe esplosa. E’ in questa situazione che inizia l’ondata di riforme di Roosvelt, i public works, l’assistenza ai disoccupati. Il governo fu obbligato, nel 1933, a decidere in questo senso: era stato raggiunto il punto dopo il quale un movimento decisamente rivoluzionario avrebbe potuto prender forma da un momento all’altro. Fu sintomatico che i combattenti della Prima Guerra Mondiale marciassero su Washinton per protestare: quando si radicalizzano gruppi del genere, originariamente reazionari, significa che la tensione ha raggiunto l’apice”.
Ci piace ricordare che Mattick e i compagni con lui erano direttamente dei disoccupati (Mattick era sta licenziato da un fabbrica dove lavorava come operaio), che partecipavano non solo sotto il profilo politico ma sociale a un simile movimento.

E’ in questi anni che questi gruppi negli USA provenienti dalla sinistra comunista tedesco-olandese proveranno a ricollegarsi alla teoria della Zusammenbruchstheorie in una forma differente comunque dall’impostazione passata:“I gruppi comunisti dei consigli non pretendono di agire in nome degli operai, ma si considerano essi stessi membri della classe operaia, i quali hanno avuto, per una ragione o l’altra, la possibilità di constatare che la tendenza sociale attuale procede nel senso del crollo del capitalismo, e in questa direzione cercano di coordinare le concrete attività degli operai. Essi sono coscienti di non essere niente più che gruppi di propaganda, in grado di suggerire linee necessarie di azione, ma incapaci di eseguirle nell’interesse di classe. Questo la classe deve farlo da sé”(6). Ponendosi quindi compiti che andavano ben al di la del contingente, segnato empiricamente da meccanismi di integrazione di classe che investivano allo stesso modo l’economia politica mondiale da Roosvelt negli USA, a Hitler in Germania a Stalin in Unione Sovietica dove le controtendenze tese all’economia mista e alla guerra attraversavano e dominavano il pianeta.

Ma al tempo stesso si inizierà proprio a partire dalla Zusammenbruchstheorie a ridefinire una teoria del crollo, analizzando tendenze e controtendenze, superando lo stesso determinismo luxemburghiano, fondato sulla circolazione più che sulla produzione vera e propria, gettando le basi per un approccio dinamico del crollo visto sotto gli aspetti materialistico-dialettici che storicizzavano il sistema capitalista ripartendo quindi dai postulari marxisti spurgati da ogni tratto positivistico-progressita, che permetteva di relativizzare (smussando gli echi volontaristici propri della sinistra comunista tedesca-olandese) e di dare un nuovo contenuto alla soggettività (superando lo stesso staticismo organizzativo dei IWW).
L’importanza della ripresa della Zusammenbruchstheorie era fondamentale per ridefinire il contesto di emersione di un nuovo movimento operaio possibile che rompesse con il passato e il presente.
P.Mattick, partendo dalle considerazioni di H.Grossmann(6), rilevava che il capitalismo non sarebbe destinato a crollare per motivi puramente economici. Ma ciò non gli impediva, dal punto di vista del metodo analitico, di limitare la sua analisi delle leggi dell’accumulazione ai presupposti puramente economici, per definire in tal modo, a livello teorico, il limite del sistema: la conoscenza teorica del fatto che il capitalismo dovrà crollare a causa delle sue contraddizioni, non impegna a sostenere che il vero crollo sarà un processo automatico, indipendente dagli uomini. Senza gli uomini non esiste nemmeno l’economia.
Da un punto di vista marxista, dice Mattick, non esiste dunque alcun problema “puramente economico”, poiché la dialettica porta a concepire i processi come totalità: il crollo reale è dunque concepibile solamente quando si sarà tenuto conto di tutti i fattori del processo storico. L’aver constatato l’esistenza di limiti economici alla lotta salariale, significava semplicemente che anche la lotta per questi obiettivi può assumere un carattere rivoluzionario e politico proprio quando il capitalismo ha raggiunto certi limiti. Le lotte di classi, scrive Mattick, dipendono dalla situazione materiale della classe operaia e per questo motivo avranno sempre necessariamente un carattere economico. Solo all’inizio di quella fase che si potrebbe chiamare del collasso, e cioè quando il capitale può continuare ad esistere solo sulla base della pauperizzazione crescente del proletariato, la lotta economica si potrebbe trasformare in lotta politica e, coscienti o no le masse proletarie in questa situazione, toccano necessariamente la questione del potere. Esiste quindi un nesso tra i limiti del capitalismo e la rivoluzione, tra sviluppo oggettivo e intervento soggettivo, e quindi il significato politico della Zusammenbruchstheorie, viene spiegata da Mattick nei termini formulati dallo stesso H.Grossmann: “In quanto marxista dialettico so ovviamente che entrambi i lati del processo, gli elementi oggettivi e quelli soggettivi si influenzano reciprocamente. Questi fattori si fondono nella lotta di classe […] Ma ai fini dell’analisi devo applicare il procedimento astratto che consiste nell’isolare i singoli elementi, per mettere in luce le funzioni essenziali di ogni elemento. Lenin parla spesso della situazione rivoluzionaria che deve oggettivamente essere data come presupposto dell’intervento vittorioso attivo del proletariato. La mia teoria del crollo non mira a escludere questo intervento attivo, ma si propone piuttosto di mostrare in quali condizioni una tale situazione rivoluzionaria data oggettivamente possa sorgere e sorga” e di seguito: “benché il crollo del capitalismo sia obbiettivamente necessario, fissate certe condizioni, e che il momento in cui esso si produrrà sia esattamente calcolabile, non è tuttavia necessario, come lo mostrerà la nostra esposizione, che esso avvenga automaticamente da se stesso al momento atteso, per cui non lo si deve attendere in maniera puramente passiva”.
Il crollo non è ne alternativo ne in contraddizione con la lotta di classe. Non è ridurre tutto alla lotta per il salario e la riduzione dei tempi di lavoro, ma alla dinamica complessiva del sistema capitalistico e la sua connessione alla lotta di classe in tutta la sua complessità, non quindi al semplice processo produttivo ma al processo di riproduzione, ricollegandosi direttamente all’analisi marxista dove l’intera analisi del processo di riproduzione sbocca nella lotta di classe. Marx parlando della struttura del II e III libro del Capitale, dopo aver dimostrato il carattere di apparenza fenomenica del- movimento indipendente- dell’economia, che fa apparire le categorie economiche dotare di una processualità autonoma oggettuale, -in se-, conclude che, rimandando salario rendita e profitto alle tra classi (fondiari, capitalisti e operai) delle quali costituiscono le fonti di guadagno, il risultato dell’intera dialettica delle forme è la lotta di classe come sbocco in cui si risolve il movimento e lo scioglimento di tutta la merda.
Il confronto con la realtà americana permetteva di analizzare le controtendenze che si sarebbero innestate dopo il 29, ma leggendole come misure parziali e di carattere empirico-propagandistico per bloccare una tendenza all’autodistruzione capitalista, che provocava una apparente totalizzante integrazione di classe, riaffermando quindi la Zusammenbruchstheorie.

Non è nostra intenzione in questo scritto analizzare le tesi di questo filone rispetto alle controtendenze e alla riaffermazione della Zusammenbruchstheorie, in questi mesi stiamo cercando proprio sul nostro sito (Connessioni) di offrire i materiali storici diretti di questi autori.

Il punto che ci preme e che ci porta ad apprezzare la ripresa storiografica e analitica di simili correnti è tuttavia legato non ad una filiazione storica (il cosiddetto filo rosso, la stessa dicitura sinistra comunista è un non senso in un epoca che vede la chiusura del vecchio movimento comunista nato dall’evoluzione della social-democrazia classica negli anni 20, dove i limiti regolazionisti sono propri del capitale stesso) ma lo stesso dicasi dell’epopea IWW con il mito del progresso industriale quantitativo, ma è proprio nell’invarianza della lotta di classe e nell’analisi/limiti dell’accumulazione capitalista che un tale filone ritrova un suo senso, in un attuale contesto contraddistinto da meccanismi di stagnazione economica e da meccanismi finanziari che provocano solamente un aumento di dosaggio di un capitalismo ormai drogato.
Se la generalizzazione della precarietà che sta investendo la società (processi di de-integrazione di classe di massa) ci rende tutti un pò più wobbly la crisi e i meccanismi distruttivi che porta con se ridefinisce il senso attuale della Zusammenbruchstheorie e l’importanza di aver fin da subito scorto i limiti intrinsechi dell’economia mista, come droga per il capitalismo. Importanza che assume oggi tratti inediti di fronte ai limiti stessi del capitale e rispetto alla controtendenze spacciate come novità, l’equivoco della sinistra e della stessa estrema sinistra nel contrapporre la produzione alla finanzia, la pianificazione all’anarchia di mercato si gioca su questo equivoco, il ritenere il capitalismo un sistema che non presenta limiti intrinsechi.

Inoltre da un punto di vista storico è interessante osservare, compreso le sconfitte e i limiti (molti, basti pensare all’assenza di analisi rispetto al rapporto centro-periferia, al ruolo della donna nel sistema di produzione capitalista, ecc…), il tentativo di porre la contraddizione dentro un capitalismo maturo (USA e Germania), dove le contraddizioni sotto il profilo dei rapporti di produzione capitalista erano più grandi rispetto alla lotta di classe stessa, se vista nel suo aspetto intrinseco, perché di fatto polarizza la società. Contesti dove i limiti dello stesso sviluppo capitalista attualmente (infarto economico, ambientale, umano, ecc..) risultano paradossalmente più stridenti. Oggi lo sviluppo di nuovi movimenti negli USA e in Europa, non è più legato alla dimensione etica o alla mera ridistribuzione (anche se sotto un aspetto esteriore è questo che li caratterizza) ma allo sviluppo di una contraddizione di classe che li attraversa direttamente. Dove a livello di tendenza sono i meccanismi di de-integrazione provocati dall’attuale livello di accumulazione che sovrastano la scena, de-statalizzando la classe e liberandola se letto dialetticamente dai meccanismi di integrazione propri del capitalismo. Ovviamente cosi come era nei presupposti della stessa sinistra comunista questo processo si presenta in forma dialettica tra socialismo o barbarie o come oggi si potrebbe dire tra comunismo e attuale civiltà (7).

La ripresa di interesse verso questi filoni non risolve gli attuali problemi di comprensione e di intervento ma comunque vi scorgiamo quel soffio di una realtà più profonda che attraversa quella titanica lotta che milioni di uomini ben prima di noi hanno iniziato contro il capitale, per una comunità umana, mettendo al centro una semplice considerazione, ma fondamentale per lo sviluppo di nuovi rapporti sociali: “Ciò che Marx –e prima di lui, nel 1843, Flora Tristan –enunciavano con una sola proposizione, vale a dire che “l’emancipazione della classe dev’essere conquistata dalla stessa classe” rimane il postulato implicito di ogni genuino pensiero socialista” M.Rubell



1)Il testo Marx e Keynes, i limiti dell’economia mista è ancora oggi la più puntuale critica marxista del modello keynesiano.
2)G.M.Bonacchi, Teoria marxista e crisi: i comunisti dei consigli tra New Deal e fascismo
3)P.Mattick, Otto Ruhle e il movimento operaio tedesco
4) E’ interessante osservare che l’epopea wobbly come movimento di massa si può ritenere chiusa in concomitanza con la prima guerra mondiale, dove la figura dell’operaio precario (wobbly) viene scalzato dalla nuova organizzazione del lavoro e da una nuova tendenza razionalizzatrice-integratrice del capitale stesso, rompendo la vecchia comunità proletaria di massa che dava vita nei suoi aspetti organizzativi all’ossatura wobbly. Ciò che rimarrà, comunque significativo sotto il profilo organizzativo direttamente integrato dentro agli IWW, sarà una rete di gruppi operai e proletari radicali fedeli al concetto e alle pratiche dell’autonomia di classe, ma incapaci di esercitare la forza precedente.
5)P.Mattick, Socialismo del capitale e autonomia operaia
5)Idem
6)H.Grossmann, Il crollo del capitalismo
7)Riprendiamo qui una espressione propria di A.Bordiga che in modo più radicale della Luxemburg superava la visione positivista-progressista della rivoluzionaria polacca, chiamando l’attuale sviluppo/distruzione capitalista: civiltà contrapponendola al comunismo come rottura radicale da ogni meccanismo capitalistico.

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