Letture di classe
Agustín Guillamón
I
Comitati di Difesa della Cnt a
Barcellona (1933-1938)
Dai Quadri di difesa
ai Comitati rivoluzionari di quartiere
le Pattuglie di Controllo e le Milizie
Popolari,
Introduzione: Dino Erba, Spagna 36.
Una
rivoluzione impossibile? O l’impossibilità della rivoluzione?
Appendice: Gilles Dauvé, Quando muoiono le
insurrezioni.
All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2013. Pp.
226.
Contributo € 15 (comprese le
spese di spedizione).
Richiedere a: dinoerba@libero.it/
La sinistra comunista radicale ha giudicato che la
rivoluzione spagnola del 1936 fosse impossibile. I toni possono essere diversi,
ma la sostanza è la medesima. Nel complesso, tutte le tendenze che si
richiamano alla sinistra comunista hanno sentenziato che la rivoluzione
spagnola fosse fuori dal tempo massimo concesso dall’ondata rivoluzionaria sorta
con l’Ottobre russo del 1917. Di cui, nel 1936, i processi di Mosca sancivano la fine, anche sotto il profilo
formale.
Questa valutazione nasce – oltre che dal senno di poi,
di cui son piene le fosse – da una concezione politicante della
storia, che prescinde dalla reale dinamica dei conflitti sociali, riducendo il
tutto a giochi dicamarille. D’altro canto, l’accanimento che si scatenò
contro i proletari e contro la rivoluzione spagnola dovrebbe far capire che
qualche cosa bolliva in pentola, e quello che bolliva non piaceva certo alla
borghesia, di destra e di sinistra.
Nei fatti, i proletari spagnoli
affrontarono uno scontro di classe che, solo per evidenti fattori contingenti,
presentava aspetti diversi da quelli che, storicamente, i proletari avevano già
affrontato. E se furono sconfitti, non fu solo per colpa dello stalinismo e del
«non» intervento delle Grandi Democrazie. La rivoluzione fallì per cause intrinseche,
che non sono neppure da vedere in un eccesso di quell’«anarchica spontaneità»,
che da alcuni fu condannata e da altri fu osannata. Di fronte a questo capzioso
dilemma – e alla luce dei fatti di Spagna –, c’è invece da domandarsi dove
finisce la spontaneità e dove inizia l’organizzazione; e poi, dobbiamo anche
chiederci: dove finisce l’organizzazione e inizia la burocrazia?
La rivoluzione non è certo una
questione di organizzazione. Anche se richiede organizzazione. E gli anarchici
spagnoli entrarono nel merito della questione, facendo mille errori ma
tracciando un solco netto sulla via dell’organizzazione di classe, da cui una
seria ricostruzione storica non può prescindere. Sono questi gli aspetti che il
libro di Agustín Guillamón mette in luce, esaminando l’attività dei Comitati di
Difesa della Cnt dal
luglio 1936 al maggio 1937.
La
sconfitta che il popolo di Barcellona inflisse all’esercito fascista il 19
luglio 1936 è uno dei miti più radicati della storia della Rivoluzione sociale
spagnola. In realtà, la «spontaneità» della risposta operaia e popolare al
golpe militare fu catalizzata e coordinata dai Comitati di Difesa della Cnt, che già da due anni li stava
organizzando. I Comitati di Difesa furono i nuclei dell’esercito di miliziani
che sostenne il Fronte d’Aragona; essi costituirono inoltre la base dei
numerosi comitati rivoluzionari di quartiere, che avrebbero provveduto alla
vita quotidiana di Barcellona (cibo, casa, sanità, istruzione…), fino alla
restaurazione del potere borghese della Generalitad, imposto grazie alla
connivenza dei comitati superiori della Cnt e
della Fai. Neppure
l’insurrezione «spontanea» del maggio 1937 per fermare la controrivoluzione,
fomentata dallo stalinismo, può avere una spiegazione senza la presenza dei
Comitati di Difesa nei quartieri di Barcellona.
Il
libro di Guillamón analizza ed evidenzia l’esistenza di differenti modi di
intendere (e di vivere) la Cnt e
l’essenza stessa della Rivoluzione libertaria in seno al movimento
anarcosindacalista di quell’epoca. Queste differenze, già presenti nel periodo
repubblicano, durante la Guerra Civile produssero numerosi scontri fra i
coerenti difensori della rivoluzione nell’ambito dei comitati di base e coloro
che, invece, concepivano la Cnt-Fai come
un partito in più nel campo dell’antifascismo, ripetendo la solita litania che
«il momento era grave ed eccezionale». Una giustificazione che, recitata come
un mantra, è divenuta un articolo di fede, facendo dimenticare che
MAI l’antifascismo ha vinto il fascismo. Anzi, è SEMPRE avvenuto il contrario.
Pur
nei drammatici frangenti della guerra e dei contrasti politici che
l’inasprirono, Guillamón riesce a mostrare la forma e la sostanza che la
società libertaria avrebbe potuto assumere in una Barcellona proletaria, solida
e organizzata attraverso i comitati di quartiere, protetti dai Comitati di
Difesa.
dino erba