Miseria del consiliarismo
Echanges, n.141, 2012
Questo vocabolo, che fa riferimento ai soviet russi e ai
Rate tedeschi, copre illusoriamente numerose realtà differenti: i soviet del
1905 e quelli del 1917 in
Russia non presentano le stesse caratteristiche; questo movimento dei soviet si
distingue a sua volta dal movimento dei consigli dal 1917 al 1919di soldati e
operai tedeschi; infine, l’azione dei consigli o dei soviet è molto eterogenea secondo
la loro composizione sociale.
Nel 1905
in Russia, tutti i partiti o i sindacati contestatori
erano proibiti, la classe operaia fu obbligata a creare le proprie
organizzazioni, i soviet. Nel 1917, al contrario, i gruppi politici clandestini
avevano penetrato l’ambiente dei lavoratori industriali e dal momento in cui la
classe operaia, i soldati e i contadini russi si organizzarono nuovamente in
soviet e comitati di fabbrica, i militanti politici si precipitarono per
prenderne la testa.
La classe operaia russa a quell’epoca era poco numerosa e
concentrata in rare zone urbane. Fu diverso nella Germania del 1917. I consigli
di soldati, operai e contadini in modo omogeneo sorsero in quasi tutta la Germania. Sono
stati unicamente, in successione o simultaneamente, gruppi puntuali di
lavoratori, per esempio al momento di uno sciopero, organismi costituiti per la
durata che si dotavano dei poteri esecutivi e legislativi, come un partito, o
ancora come rappresentanti del proletariato nei confronti dello Stato e del
patronato, come un sindacato. In Russia come in Germania, marxisti e anarchici
si mischiarono ai consigli. I seguaci del partito che pensavano che la
coscienza di classe dovesse costituirsi all’esterno per essere poi impiantata
nella classe, in accordo o di forza, si presero gioco di questa
auto-organizzazione del proletariato negandogli ogni capacita di esprimere un
punto di vista rivoluzionario.
Contrariamente ai leninisti di tutte le sfumature, noi pensiamo,
in Echanges, che non è l’organizzazione che prelude alla coscienza, ma è quest’ultima
a determinare la forma organizzativa di cui ha bisogno, e che i consigli operai
alla fine della prima guerra mondiale sono stati per lo più delle porzioni di
classe che hanno portato essi stessi al loro superamento, poiché hanno permesso
alla classe operaia di fare gli errori di cui abbiamo tanto bisogno per
avanzare piuttosto che obbedire a direttive infallibili di un comitato
invisibile di cui la storia delle lotte operaie in tutti i paesi ci insegna i
difetti. La teoria, secondo la quale il movimento operaio moderno sarebbe solo
il prodotto artificiale di qualche leader si conforma a uno schema stabilito
dagli amanti delle lotte regolate e disciplinate che sanno esattamente, spesso
da molto tempo, come bisognerebbe agire, non ha avuto corso in seno alla classe
operaia tedesca alla fine della prima guerra mondiale.
La classe operaia tedesca si è posta al di là di Lenin e dei
suoi compagni di partito che aspiravano a fare la felicità della classe operaia
suo malgrado con il successo che conosciamo.
La questione si presenta cosi: l’emancipazione dei
lavoratori è affare dei lavoratori stessi o deve essere rimessa a degli
specialisti?
Conosciamo il disprezzo di Lenin per gli operai che “non
potevano ancora avere la coscienza social-democratica. Avrebbero potuto averla
solo dall’esterno”. (Che fare? 1902)
Questo stesso Lenin considerava, è importante sottolinearlo,
i dogmi social-democratici, come il grado più alto della coscienza di classe
proletaria e il socialismo come dirà poi, come “i soviet più l’elettricità”.
Il passato non torna contrariamente a quanto vuol credere
una certa sinistra reazionaria che difende le conquiste sociali, cioè lo status
quo, nelle manifestazioni a fianco dei lavoratori e contemporaneamente tenendo
un discorso radicale su quello che dovrebbe essere la rivoluzione, difendendo
da un lato come dall’altro l’industria e il lavoro forzato. Gli avversari dei
consigli operai si rifiutarono di tenere in conto l’azione dei lavoratori
contro le loro condizioni di sfruttamento, che cercarono di mascherare sotto il
concetto di consigliarismo. Come alla fine degli anni sessanta e agli inizi
degli anni settanta, quando alcuni militanti crearono una ideologia “ultra-sinistra”
che gli fu facile fustigare poiché era la loro creatura, il consigliarismo riapparve
per denigrare l’azione autonoma dei lavoratori risparmiandosi i costi di una
argomentazione ragionata su questo tipo di azioni.
Se c’è un consigliarismo, sappiamo che tende a fare apparire
il movimento dei consigli e la teoria che ne è nata come una nuova ideologia. Tutti
i concetti creati con un suffisso in ismo, suppongono una dottrina. Non nego
che certi compagni della nostra redazione si richiamano a volte ad una
ideologia, il marxismo, ma se guardiamo da vicino questa professione di fede,
vediamo che rivendicano generalmente la sua parte più feconda, l’osservazione
dei fatti e la loro analisi, piuttosto che il suo sistema dottrinale, griglia
di lettura come alcuni dicono senza vergogna. Noi non siamo, non più che
chiunque altro, senza tradizioni, e il movimento dei consigli operai dell’inizio
del XX secolo ne costituisce una parte.
Ma non vogliamo nascondere le falle di questo movimento le
cui cause sono contemporaneamente geografiche, sociali e storiche e non le sacrificheremo
per il feticismo dei consigli operai: furono l’espressione, né più né meno,
della coscienza del proletariato e dello sviluppo di questa coscienza di classe
tra il 1917 e il 1919.
Né ignoriamo che la coscienza viene fatta indossare all’incosciente
e che la logica del processo storico oggettivo si conforma alla soggettività
dei suoi protagonisti. In Echanges nessuno è consigliarista.
J-P. V.
echenges.mouvement@laposte.net
per altri materiali di Echanges in italiano: Echanges
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