IL MOVIMENTO DEI CONSIGLI IN GERMANIA (1919-1936)
di H.C. Meijer
Il testo che segue non è l’opera di uno storico di Stato. Non ha quindi lo scopo di far ricordare dei fenomeni contingenti, di accumulare dei dettagli legati ad una situazione particolare, ma di mettere in evidenza alcuni grandi tratti storici particolarmente significativi. Si sforza ugualmente di mostrare come il fallimento del movimento dei consigli nella Germania degli anni ‘20 fu imputabile in primo luogo all’influenza che i concetti tradizionali continuavano ad esercitare sulla mentalità operaia e quanto sia grande la necessità di proporre delle idee nuove in stretto rapporto con l’epoca in cui viviamo. Infine, mettendo in evidenza la estrema difficoltà di questo compito – perfino per dei militanti decisi e dalle idee avanzate – sottolinea implicitamente che la ricerca degli elementi di novità nella lotta di classe e la propaganda per il mondo nuovo, sono uno dei rari mezzi di cui i partigiani della Rateidee (idea dei consigli) dispongono, per agire nei confronti di un movimento generale autonomo di classe, quando esso si manifesta.
LA RIVOLUZIONE
Nel novembre 1918 il fronte tedesco crollò: i soldati disertarono a migliaia e l’intera macchina bellica rovinò. Nondimeno, a Kiel, gli ufficiali della flotta decisero di impegnarsi in un’ultima battaglia, per salvare 1′onore. Allora i marinai rifiutarono di servire. Questo non era il loro primo sollevamento, ma i tentativi precedenti erano stati repressi dai proiettili e addomesticati dalle belle parole. Questa volta non v’erano più ostacoli immediati e la bandiera rossa si alzò prima su una nave da guerra, poi sulle altre. I marinai elessero dei delegati che si costituirono in Consiglio. Ormai i marinai erano costretti a fare di tutto per generalizzare il movimento. Essi non avevano voluto morire in combattimento contro il nemico; ma se fossero rimasti isolati, le truppe “lealiste” sarebbero intervenute e, di nuovo, ci sarebbe stata una sanguinosa repressione. Così i marinai sbarcarono e marciarono sul grande porto di Amburgo, e di là con il treno e con qualsiasi altro mezzo si sparsero per la Germania.
Il gesto liberatore era compiuto. Gli avvenimenti si susseguivano ora tumultuosamente. Amburgo accolse i marinai con entusiasmo; soldati ed operai solidarizzarono con loro e a loro volta elessero dei Consigli. Benché questa forma di organizzazione fosse fino ad allora sconosciuta nella pratica, una vasta rete di Consigli Operai e di Consigli di Soldati, rapidamente, nel giro di quattro giorni, ricoprì il paese. Forse si era già inteso parlare dei Soviet russi del 1917, ma fino ad allora, in verità, pochissimo; la censura vigilava. In ogni caso, nessun partito, nessuna organizzazione aveva mai proposto questa nuova forma di lotta.
I PRECURSORI DEI CONSIGLI
Tuttavia, durante la guerra in Germania, organismi analoghi avevano fatto la loro apparizione nelle fabbriche. Essi si erano costituiti nel corso degli scioperi, formati da responsabili eletti, i cosiddetti uomini di fiducia. Incaricati di svolgere piccole funzioni sul posto, questi ultimi, coerentemente con la tradizione sindacale tedesca, dovevano assicurare un legame tra la base e le centrali sindacali, cioè trasmettere alle centrali le rivendicazioni degli operai. Durante la guerra queste lagnanze erano numerose (le principali vertevano sull’intensificazione del lavoro e sull’aumento dei prezzi). Ma i sindacati tedeschi – come quelli degli altri paesi – avevano costituito un fronte unico con il governo, facendosi garanti della pace sociale, in cambio di piccoli vantaggi per gli operai e della partecipazione dei dirigenti sindacali a diversi organismi ufficiali. Le “teste dure” erano, prima o poi, spedite nell’esercito, nelle unità speciali. Era dunque difficile prendere pubblicamente posizione contro i sindacati.
Ben presto gli “uomini di fiducia” smisero d’informare le centrali sindacali: non ne valeva la pena; ma la situazione, e di conseguenza le rivendicazioni operaie, non mutavano per questo; allora essi presero a riunirsi clandestinamente. Nel 1917, bruscamente, un’ondata di scioperi selvaggi investì l’intero paese. Del tutto spontanei, questi movimenti non erano diretti da un’organizzazione stabile e permanente; e se si svolgevano con una certa coerenza, è soltanto perché erano stati preceduti da discussioni e accordi tra le diverse fabbriche, contatti preliminari all’azione presi dagli uomini di fiducia di queste fabbriche. In questi movimenti, provocati da una situazione intollerabile, in mancanza di un’organizzazione alla quale accordare una seppur limitata fiducia (fosse essa socialdemocratica, cristiana, liberale, anarchica, ecc.), gli operai dovettero far fronte alle necessità del momento; le masse lavoratrici erano obbligate a decidere autonomamente, su una base di fabbrica. Nell’autunno 1918, questi movimenti, fino ad allora sporadici e più o meno separati gli uni dagli altri, assunsero una forma precisa e generalizzata. A fianco delle amministrazioni classiche (polizia, rifornimenti, ecc.) e talvolta, in parte, prendendone il posto, i Consigli Operai si appropriavano del potere nei centri industriali più importanti: Berlino, Amburgo, Brema, Ruhr, Germania centrale e Sassonia. Ma i risultati furono in verità scarsi. Per quale ragione?
UNA FACILE VITTORIA
Questa carenza di risultati fu dovuta in primo luogo alla facilità stessa con la quale i Consigli Operai si costituirono. L’apparato statale aveva perduto ogni autorità; se esso crollava, qua e là, non era in conseguenza di una lotta accanita e cosciente dei lavoratori. Il loro movimento incontrava soltanto il vuoto e si estendeva dunque senza difficoltà, senza cioè che fosse necessario combattere e riflettere sulla lotta. Il solo obiettivo di cui si parlava era quello dell’insieme della popolazione: la pace.
In questo vi era una differenza essenziale rispetto alla rivoluzione russa. In Russia la prima ondata rivoluzionaria, la Rivoluzione di Febbraio, aveva spazzato via il regime zarista; ma la guerra continuava. Il movimento unito dei lavoratori trovava così una ragione per accentuare la sua pressione e mostrarsi sempre più ardito e deciso. Ma in Germania l’aspirazione principale della popolazione, la pace, fu immediatamente appagata; il potere imperiale lasciava posto alla Repubblica. Di che tipo di Repubblica si sarebbe trattato?
Prima della guerra su questo punto non v’era alcuna divergenza tra i lavoratori. La politica operaia, nella pratica come nella teoria, era condotta dal Partito Socialdemocratico e dai sindacati, e fatta propria e approvata dalla maggioranza dei lavoratori organizzati. Per i membri del movimento socialista, formatosi nel corso della lotta per la democrazia parlamentare e per le riforme sociali, nutrito da questa lotta, lo Stato democratico borghese un giorno sarebbe divenuto la leva del socialismo. Sarebbe bastato conquistare la maggioranza in Parlamento ed i ministri socialisti avrebbero nazionalizzato, passo a passo, l’intera vita economica e sociale; la realizzazione di questo obiettivo veniva identificata con il socialismo.
Senza dubbio vi era anche una corrente rivoluzionaria, di cui Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg erano i rappresentanti più conosciuti. Tuttavia questa corrente non sviluppò mai delle concezioni nettamente opposte a quelle del socialismo di stato: essa costituiva soltanto un’opposizione in seno al vecchio partito; dal punto di vista della base questa corrente non si distingueva chiaramente dall’insieme.
LE NUOVE CONCEZIONI
Tuttavia delle nuove concezioni videro la luce durante i grandi movimenti di massa del 1918-1921. Esse non erano espressione di una pretesa avanguardia, ma delle masse stesse. Nella pratica, l’attività autonoma degli operai e dei soldati aveva prodotto la sua forma organizzativa: i Consigli, dei nuovi organismi che agivano in un senso di classe. E poiché vi è uno stretto legame tra le forme assunte dalla lotta di classe e le concezioni dell’avvenire, va da sé che, qua e là, le vecchie concezioni cominciarono ad essere rovesciate. Adesso, i lavoratori organizzavano le proprie lotte al di fuori degli apparati dei partiti e dei sindacati; così prendeva corpo l’idea che le masse dovessero esercitare un’influenza diretta sulla vita sociale per mezzo dei Consigli. Allora si sarebbe realizzata la “dittatura del proletariato”, come si diceva; una dittatura che non sarebbe stata esercitata da un partito, ma sarebbe stata l’espressione dell’unità infine realizzata di tutta la popolazione lavoratrice. Certo, una tale organizzazione della società non sarebbe stata democratica nel senso borghese del termine, poiché la parte della popolazione non partecipante alla nuova organizzazione della vita sociale, non avrebbe avuto voce né nelle discussioni né nelle decisioni.
Come si diceva, le vecchie concezioni cominciavano ad essere stravolte. Ma presto divenne evidente che la tradizione parlamentare e sindacale erano troppo profondamente radicate nelle masse per poter essere estirpate nel breve periodo.
La borghesia, il Partito Socialdemocratico e i sindacati fecero appello a quelle concezioni tradizionali per battere in breccia le nuove concezioni. Il partito, in particolare, a parole si felicitava di questo nuovo modo che le masse avevano trovato per imporsi nella vita sociale; arrivava perfino ad esigere che questa forma di potere diretto fosse approvata e codificata da una legge. Ma se in questo modo testimoniava loro la sua simpatia, il vecchio movimento operaio, nel suo insieme, rimproverava ai Consigli di non essere rispettosi del principio democratico – pur giustificandoli, in parte, per via della loro mancanza di esperienza, dovuta chiaramente alla loro nascita spontanea. Di fatto le vecchie organizzazioni rimproveravano ai Consigli di non riservare loro un posto sufficientemente importante e addirittura di far loro concorrenza. Proclamandosi a favore della democrazia operaia, i vecchi partiti e sindacati reclamavano che tutte le correnti del movimento operaio fossero rappresentate nei Consigli, proporzionalmente alla loro rispettiva importanza.
IL TRANELLO
La maggior parte dei lavoratori era incapace di confutare questo argomento: esso corrispondeva troppo alle loro vecchie abitudini. Così i Consigli Operai finirono col riunire rappresentanti del partito socialdemocratico, dei sindacati, dei socialdemocratici di sinistra, delle cooperative di consumo, ecc., allo stesso titolo dei delegati di fabbrica. E’ evidente che simili organismi non erano più espressione di gruppi di lavoratori, legati tra di loro dalla vita della fabbrica, ma diventavano formazioni assimilabili al vecchio movimento operaio ed operanti in favore della restaurazione capitalistica sulla base di un capitalismo di Stato democratico.
Tutto questo significò la rovina degli sforzi operai. Infatti, i delegati ai Consigli non ricevevano più le direttive dalla massa, ma dalle loro differenti organizzazioni. Essi invitavano i lavoratori a rispettare e a far rispettare “l’ordine”, proclamando che “nel disordine, non vi può essere socialismo”. In queste condizioni i Consigli persero rapidamente ogni valore agli occhi degli operai. Le istituzioni borghesi si rimisero a funzionare, senza naturalmente preoccuparsi del parere dei Consigli; tale era precisamente lo scopo del vecchio movimento operaio
Il vecchio movimento operaio poteva essere fiero della sua vittoria. La legge votata dal Parlamento fissava nel dettaglio i diritti ed i doveri dei Consigli. Essi avrebbero avuto come compito di sorvegliare l’applicazione delle leggi sociali. Detto altrimenti, i Consigli divenivano degli ingranaggi dello Stato; anziché demolirlo, dovevano partecipare al suo buon funzionamento. Cristallizzate nelle masse, le tradizioni si rivelavano più potenti dei risultati dell’azione spontanea.
Malgrado questa “rivoluzione abortita”, non si può dire che la vittoria degli elementi conservatori sia stata facile. Il nuovo orientamento degli spiriti, nonostante tutto, era abbastanza forte perché centinaia di migliaia di operai lottassero con accanimento, affinché i Consigli conservassero il loro carattere di nuove unità dell’organizzazione di classe. Furono necessari cinque anni di conflitti incessanti, talvolta di combattimenti armati, e il massacro di 35.000 operai rivoluzionari, perché il movimento dei Consigli fosse definitivamente sconfitto dal fronte unico della borghesia, dal vecchio movimento operaio e dalle “guardie bianche” costituite dai signorotti prussiani e dagli studenti reazionari.
LE CORRENTI POLITICHE
A grandi linee si possono distinguere, sul versante operaio, quattro grandi correnti politiche:
a. I socialdemocratici. Essi intendevano nazionalizzare gradualmente le grandi industrie utilizzando la via parlamentare. Tendevano ugualmente a riservare ai sindacati soltanto il ruolo di intermediari tra i lavoratori ed il capitale di Stato.
b. I comunisti. Ispirandosi più o meno all’esempio russo, questa corrente preconizzava un’espropriazione diretta dei capitalisti ad opera delle masse. Secondo loro, gli operai rivoluzionari avevano il dovere di “conquistare” i sindacati e di “renderli rivoluzionari”.
c. Gli anarco-sindacalisti. Essi si opponevano alla conquista del potere politico e alla sopravvivenza di qualsivoglia Stato. Nella loro concezione, i sindacati rappresentavano la formula dell’avvenire; bisognava lottare affinché i sindacati acquistassero un’estensione tale da renderli capaci di gestire l’intera vita economica. Uno dei più conosciuti teorici di questa corrente, nel 1920, scriveva che i sindacati non dovevano essere considerati come un prodotto transitorio del capitalismo, bensì come i germi della futura organizzazione socialista della società. Proprio all’inizio nel 1919, sembrò che l’ora di questo movimento fosse finalmente venuta. I sindacati anarchici iniziarono a gonfiarsi, a partire dal crollo dell’Impero. Nel 1920, essi contavano circa 200.000 membri.
d. Tuttavia, quello stesso anno, gli effettivi dei sindacati rivoluzionari iniziarono a diminuire. Una gran parte dei loro aderenti si volgeva ora verso un’altra forma di organizzazione, più adatta alle nuove condizioni della lotta: l’organizzazione rivoluzionaria di fabbrica. Ogni fabbrica aveva, o avrebbe dovuto avere, la sua propria organizzazione, agente indipendentemente dalle altre – che, in un primo stadio, non era nemmeno collegata alle altre. Ogni fabbrica assumeva dunque l’aspetto di una “repubblica indipendente”, ripiegata su sé stessa.
Senza dubbio, questi organismi di fabbrica erano una realizzazione delle masse; tuttavia, bisogna sottolineare che essi facevano la propria apparizione nel quadro di una rivoluzione, se non già sconfitta, quantomeno stagnante. Divenne presto evidente che gli operai non potevano, nell’immediato, conquistare ed organizzare il potere economico e politico per mezzo dei Consigli. Bisognava dunque innanzitutto sostenere una lotta senza quartiere contro le forze che si opponevano ai Consigli. Gli operai rivoluzionari cominciarono dunque a raccogliere le proprie forze in tutte le fabbriche, al fine di restare in stretto contatto con la vita sociale. Con la loro propaganda, essi si sforzavano di risvegliare la coscienza degli operai, li invitavano ad uscire dai sindacati e ad aderire all’organizzazione rivoluzionaria di fabbrica: gli operai nel loro insieme avrebbero potuto in tal modo dirigere essi stessi le proprie lotte e conquistare il potere economico e politico su tutta la società.
In apparenza, la classe operaia faceva così un grande passo indietro sul terreno dell’organizzazione. Mentre prima, infatti, il potere degli operai era concentrato in alcune potenti organizzazioni centralizzate, ora si disgregava in centinaia di piccoli gruppi, che riunivano alcune centinaia o migliaia di aderenti, secondo l’importanza della fabbrica. In realtà, quella forma si rivelava la sola che permettesse di porre le basi di un potere operaio diretto. Così, benché relativamente piccole, queste nuove organizzazioni spaventavano la borghesia, la socialdemocrazia ed i sindacati.
LO SVILUPPO DELLE ORGANIZZAZIONI DI FABBRICA
Tuttavia non era per principio che queste organizzazioni si tenevano isolate le une dalle altre. La loro apparizione era avvenuta in modo spontaneo e separato, nel corso degli scioperi selvaggi che caratterizzarono il periodo (quello dei minatori della Ruhr, nel 1919, per esempio). Una nuova tendenza si fece strada, allora, con l’obiettivo di unificare tutti questi organismi e di opporre un fronte coerente alla borghesia ed ai suoi accoliti. L’iniziativa partì dai grandi porti, Amburgo e Brema. Nell’aprile 1920, una prima conferenza, alla quale parteciparono delegazioni provenienti dalle principali regioni industriali della Germania, si tenne ad Hannover. La polizia intervenne e disperse il congresso. Ma arrivava troppo tardi. In effetti, un’organizzazione generale, unitaria, era già stata fondata e aveva potuto stilare i suoi più importanti princìpi d’azione. Questa organizzazione si era data il nome di AAUD – A1lgemeine Arbeiter Union-Deutschlands (Unione Generale dei Lavoratori di Germania). L’AAUD annoverava tra i suoi princìpi essenziali la lotta contro i sindacati e i Consigli di impresa legali e il rifiuto del parlamentarismo. Ciascuna delle organizzazioni membre dell’Unione aveva diritto alla massima autonomia ed alla più grande libertà di scelta nella sua tattica.
A quell’epoca in Germania, i sindacati contavano più membri di quanti non ne avessero mai avuti e di quanti dovessero averne poi. Così, nel 1920 i sindacati di osservanza socialista raggruppavano quasi 8 milioni di persone, che versavano le rispettive quote nelle casse delle 52 associazioni sindacali; i sindacati cristiani contavano più di un milione di aderenti; i sindacati padronali, i “gialli”, ne riunivano quasi 300.000. Inoltre, vi erano alcune organizzazioni anarco-sindacaliste (FAUD) ed altre organizzazioni che, più tardi, avrebbero aderito all’ISR (Internazionale Sindacale Rossa, legata a Mosca).
All’inizio l’AAUD non riuniva che 80.000 lavoratori (aprile 1920); ma la sua crescita fu rapida e, alla fine del 1920, questo numero salì a 300.000 aderenti. Alcune delle organizzazioni che la componevano esprimevano, è vero, un’eguale simpatia per la FAUD o l’ISR. Ma nel dicembre 1920, divergenze politiche in seno all’AAUD provocarono una grave scissione; numerose associazioni aderenti se ne staccarono per formare una nuova organizzazione, detta unitaria: l’AAUD -E. Dopo questa rottura, all’epoca del suo IV Congresso (giugno 1921), l’AAUD dichiarava di contare più di 200.000 membri. In realtà, queste cifre erano gonfiate: nel mese di marzo 1921, il fallimento dell’insurrezione nella Germania centrale e la conseguente repressione avevano letteralmente decapitato e smantellato l’AAUD. Ancora debole, l’organizzazione non aveva potuto resistere in modo efficace ad un enorme ondata di repressione poliziesca e politica.
IL PARTITO COMUNISTA TEDESCO (KPD)
Prima di esaminare le diverse scissioni verificatesi nel movimento delle organizzazioni di fabbrica, è necessario parlare del Partito Comunista (KPD). Durante la guerra, il Partito Socialdemocratico si era posto al fianco delle classi si dirigenti e aveva fatto il possibile per mantenere la “pace sociale”; con l’eccezione tuttavia di una piccola frangia di militanti e di funzionari del partito, tra i quali i più conosciuti erano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Questi ultimi avevano fatto propaganda contro la guerra e criticato violentemente il Partito Socialdemocratico. Essi non erano completamente soli: oltre alla loro “Lega di Spartaco”, vi erano altri gruppi, come ad esempio gli “Internazionalisti” di Dresda e di Francoforte, i “Radicali di Sinistra” di Amburgo o “Politica Operaia” di Brema. A partire dal novembre 1918, con la caduta dell’Impero, questi gruppi, formatisi alla scuola della “Sinistra” socialdemocratica, si pronunciarono per una lotta “di strada”, destinata a forgiare una nuova organizzazione politica, che in una certa misura si sarebbe orientata sul modello della rivoluzione russa. Finalmente, un Congresso d’unificazione si tenne a Berlino e, già il primo giorno, vide la luce il Partito Comunista (30 dicembre 1918). Quest’ultimo diventò immediatamente un punto di riferimento per numerosi operai rivoluzionari, che reclamavano “tutto il potere ai Consigli Operai”.
Bisogna notare che i fondatori del KPD andarono a formare, in una certa maniera e per una sorta di diritto di nascita, i quadri del nuovo partito; essi spesso vi introdussero così lo spirito della vecchia socialdemocrazia. Gli operai che affluivano ora nel KPD, e pragmaticamente si preoccupavano delle nuove forme di lotta, per lo più non osavano, per rispetto della disciplina di partito, affrontare i loro dirigenti e, frequentemente, si piegavano a delle concezioni superate.
“Organizzazioni di fabbrica”: questa espressione effettivamente include nozioni molto dissimili. Essa può designare, come pensavano i dirigenti del KPD, una semplice forma d’organizzazione, sottomessa a direttive provenienti dall’esterno – si trattava in questo caso della vecchia concezione. Oppure può rimandare ad un insieme completamente diverso di atteggiamenti e di mentalità. In questo senso nuovo, la nozione di organizzazione di fabbrica implica un rovesciamento delle idee ammesse fino ad allora in fatto di:
a) unità della classe operaia;
b) tattica di lotta;
c) rapporti tra le masse e la loro direzione;
d) dittatura del proletariato;
e) rapporti tra Stato e società;
f) comunismo in quanto sistema economico e politico.
Questi problemi si ponevano nella pratica delle nuove lotte; era necessario tentare di risolverli pena la propria scomparsa in quanto forza nuova. La necessità di un rinnovamento delle idee si faceva quindi urgente; ma i quadri del partito, se avevano avuto il coraggio di abbandonare i loro vecchi posti [di funzionari del Partito Socialdemocratico], ora non pensavano che a ricostruire il nuovo partito sul modello del vecchio, epurandolo degli aspetti negativi di quest’ultimo e dipingendo i suoi scopi di rosso e piuttosto che di rosa e di bianco. D’altra parte, va da sé che le nuove idee mancavano di elaborazione e di chiarezza, che non si presentavano come un tutto armonioso, piovuto dal cielo o partorito da un singolo cervello. Più prosaicamente, esse provenivano in parte dalla vecchia base ideologica: il nuovo stava accanto al vecchio e vi si mescolava. In breve i giovani militanti del KPD non si opponevano in modo massiccio e risoluto alla loro direzione, ma erano deboli e divisi su molte questioni.
IL PARLAMENTARISMO
Il KPD, fin dalla sua fondazione, si divise sull’insieme dei problemi sollevati dalla nuova nozione delle “organizzazioni di fabbrica”. Il governo provvisorio, diretto dal socialdemocratico Ebert, aveva annunciato le elezioni in vista della formazione di un’Assemblea costituente. Il giovane partito doveva partecipare a queste e elezioni, fosse anche soltanto per denunciarle? Questa questione provocò discussioni assai vivaci al Congresso del partito. La grande maggioranza degli operai esigeva il rifiuto di ogni partecipazione alle elezioni. Al contrario, la direzione del partito, inclusi Liebknecht e Luxemburg, si pronunciava a favore della partecipazione alla campagna elettorale. Ai voti la direzione fu battuta, la maggioranza del partito si dichiarò antiparlamentarista. Secondo quest’ultima, la Costituente aveva come solo obiettivo quello di consolidare il potere della borghesia, conferendogli una base “legale” Al contrario, gli elementi proletari del KPD tendevano soprattutto a “stimolare” e rendere più attivi i Consigli operai già esistenti o che dovevano nascere; essi volevano dunque valorizzare la differenza tra democrazia parlamentare e democrazia operaia, diffondendo la parola d’ordine: “Tutto il potere ai Consigli operai!”.
La direzione del KPD vedeva invece nell’antiparlamentarismo, non un rinnovamento, ma una regressione verso concezioni sindacaliste-anarchiche, come quelle che si erano manifestate agli inizi del capitalismo industriale. In verità, l’antiparlamentarismo della nuova corrente non aveva granché in comune con il “sindacalismo rivoluzionario” e “l’anarchismo”. Sotto molti aspetti esso ne rappresentava persino la negazione. Mentre l’antiparlamentarismo degli anarchici poggiava sul rifiuto dell’idea della conquista potere politico, ed in particolare della “dittatura del proletariato”, la nuova corrente considerava l’antiparlamentarismo come una condizione necessaria alla presa del potere politico. Si trattava dunque d’un antiparlamentarismo “marxista”.
LA QUESTIONE SINDACALE
Sulla questione dell’attività sindacale, la direzione del KPD esprimeva, naturalmente, un punto di vista molto diverso rispetto a quello della corrente delle “organizzazioni di fabbrica”. Ciò diede luogo a grandi discussioni, subito dopo il Congresso (e anche dopo l’assassinio di Karl e di Rosa).
I sostenitori dei Consigli portarono avanti la parola d’ordine: “Uscite dai sindacati! Aderite alle organizzazioni di fabbrica! Formate i Consigli operai!”. Ma la direzione del KPD dichiarava: “Rimanete nei sindacati!”. Essa non pensava, è vero, di “conquistare” le Centrali sindacali, ma credeva possibile assumere la direzione di alcune branche locali. Se questo progetto avesse preso corpo, allora si sarebbero potute riunire quelle organizzazioni locali in una nuova centrale che, questa volta, sarebbe stata rivoluzionaria. Anche in questo caso la direzione del KPD dovette subire una sconfitta. La maggior parte delle sue sezioni rifiutarono di applicarne le direttive. Nonostante ciò essa decise di mantenere le proprie posizioni, anche al prezzo dell’esclusione della maggioranza degli iscritti; essa fu sostenuta, in questa scelta, dal partito russo e dal suo capo, Lenin, che nell’occasione redasse il suo nefasto opuscolo: L ‘estremismo, malattia infantile del comunismo. Questa operazione fu portata a termine al Congresso di Heidelberg (ottobre 1919) in cui, con diverse macchinazioni, la direzione riuscì ad escludere in modo “democratico” più della metà del partito. Ormai il Partito Comunista Tedesco era nella condizione di condurre la sua politica parlamentare e sindacale (con risultati alquanto pietosi). L’esclusione dei rivoluzionari gli permise di unirsi, un poco più tardi (ottobre 1920) con una parte dei socialdemocratici di sinistra [USPD]e di quadruplicare il numero di propri iscritti, anche se soltanto per tre anni. Allo stesso tempo, il KPD perdeva i suoi elementi più combattivi e doveva sottomettersi incondizionatamente alla volontà di Mosca.
IL PARTITO COMUNISTA OPERAIO (KAPD)
Qualche tempo dopo, gli esclusi formarono un nuovo partito: il KAPD. Questo partito manteneva dei rapporti molto stretti con l’AAUD. Nei movimenti di massa, che ebbero luogo nel corso degli anni seguenti, il KAPD ebbe un certo peso. Si temevano tanto la sua volontà e la sua pratica fatta di azioni dirette e violente, quanto la sua critica dei partiti e dei sindacati, la sua denuncia dello sfruttamento capitalistico in tutte le sue forme, in primo luogo quello di fabbrica. La sua stampa e le sue diverse pubblicazioni diedero spesso un contributo a ciò che di meglio la letteratura marxista offriva in quell’epoca di decadenza del movimento operaio marxista, e ciò benché il KAPD fosse ancora influenzato dalle vecchie concezioni.
IL KAPD E LE DIVERGENZE IN SENO ALL’AAUD. L’AAUD-E.
Lasciamo ora i partiti, e ritorniamo al movimento delle “organizzazioni di fabbrica”. Questo giovane movimento dimostrava che importanti cambiamenti si erano prodotti nella coscienza del mondo operaio. Ma queste trasformazioni avevano avuto conseguenze diverse. Differenti correnti di pensiero emergevano molto distintamente nell’AAUD. L ‘accordo era generale sui seguenti punti:
a. la nuova organizzazione doveva cercare di crescere;
b. la sua struttura doveva essere concepita in modo da evitare la costituzione di una nuova cricca di dirigenti;
c. questa organizzazione avrebbe dovuto realizzare la dittatura del proletariato, quando avesse raccolto milioni di membri.
Due punti provocarono degli antagonismi insormontabili:
1. necessità o meno di un partito politico al di fuori dell’ AAUD;
2. gestione della vita economica e sociale .
All’inizio, l’AAUD non aveva che dei rapporti abbastanza vaghi con il KPD e queste divergenze non avevano avuto una portata pratica. Le cose cambiarono con la fondazione del KAPD. L’AAUD cooperò strettamente con il KAPD e ciò contro la volontà di un gran numero dei suoi aderenti, soprattutto in Sassonia, a Francoforte, Amburgo, ecc. (non bisogna dimenticare che la Germania era ancora estremamente decentralizzata, e questo frastagliamento si ripercuoteva anche sulla vita delle organizzazioni operaie). Gli avversari del KAPD denunciarono la formazione in seno all’organizzazione di una “cricca di dirigenti” e, nel dicembre 1920, costituirono l’AAUD-E (dove E sta per Einheitsorganisation, Organizzazione Unitaria), che respingeva l’isolamento di una parte del proletariato in un’organizzazione “specializzata”, in un partito politico.
LA PIATTAFORMA COMUNE
Quali erano gli argomenti delle tre correnti in questione? Vi era un’identità di vedute nell’analisi del mondo moderno. In generale, tutti riconoscevano che la società era cambiata: nel XIX secolo il proletariato formava solo una ristretta minoranza nella società; esso non poteva lottare solo e doveva quindi cercare di allearsi con altre classi, donde la strategia democratica di Marx. Ma quei tempi erano finiti una volta per sempre, almeno nei paesi sviluppati d’occidente. Qui il proletariato costituiva ormai la grande maggioranza della popolazione, mentre gli strati della borghesia si unificavano dietro al grande Capitale, a sua volta ormai unificato. La rivoluzione era compito esclusivo del solo proletariato. Essa era inevitabile, poiché il capitalismo era entrato nello stadio della sua crisi finale (non si dimentichi che quest’analisi data dagli anni ‘20 e ‘30).
Se la società era cambiata, almeno in occidente, allora anche la stessa concezione del comunismo doveva cambiare. D’altronde era evidente che idee applicate dalle vecchie organizzazioni rappresentavano esattamente il contrario di una emancipazione sociale. E’ per esempio ciò che sottolineava, nel 1924, Otto Rühle, uno dei principali teorici dell’AAUD-E: “La nazionalizzazione dei mezzi di produzione, che continua ad essere il programma della socialdemocrazia e, nello stesso tempo, quello dei comunisti, non è la socializzazione. Attraverso la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, si può arrivare ad un capitalismo di Stato fortemente centralizzato, che forse avrà una certa superiorità sul capitalismo privato, ma ciò nondimeno sarà sempre capitalismo”.
Il comunismo è prodotto dall’azione degli operai, dalla loro lotta autonoma. Perciò, era innanzitutto necessario che si creassero delle nuove organizzazioni. Ma in cosa consistevano queste organizzazioni? Su questo punto le opinioni divergevano e questi antagonismi sfociarono in svariate scissioni. Mentre la classe operaia cessava progressivamente di esprimere un’attività rivoluzionaria, mentre le sue formazioni ufficiali non portavano avanti che un’azione tanto spettacolare quanto derisoria, coloro che volevano agire non facevano che esprimere, con l’azione disperata, la decomposizione generale del movimento operaio. Nondimeno non è inutile ricordare qui le divergenze in questione.
LA DOPPIA ORGANIZZAZIONE
Il KAPD respingeva l’idea di partito di massa, secondo lo stile leninista che prevalse dopo la Rivoluzione russa, e sosteneva che un partito rivoluzionario è necessariamente il partito di una élite, piccolo, dunque basato sulla qualità e non sul numero. Il partito, raccogliendo gli elementi meglio educati del proletariato, avrebbe dovuto agire come un lievito nelle masse, cioè diffondere la propaganda, mantenere la discussione politica, ecc.
La strategia che esso raccomandava era la strategia del classe contro classe, basata contemporaneamente sulla lotta nelle fabbriche ed il sollevamento armato; e talvolta anche, come preliminare, sull’azione terroristica (attentati, espropri di banche, di gioiellerie, ecc. frequenti agli inizi degli anni ‘20). La lotta nelle fabbriche, diretta dai Comitati d’azione, avrebbe creato l’atmosfera e la coscienza di classe necessarie alle lotte di massa e condotto masse di lavoratori sempre più larghe a mobilitarsi per le battaglie decisive.
Herman Gorter, uno dei principali teorici di questa corrente, giustificava cosi la necessità di un piccolo partito politico comunista:
“La maggioranza dei proletari vive nell’ignoranza. Essi hanno delle deboli nozioni di economia e di politica, non sanno granché degli avvenimenti nazionali e internazionali, dei rapporti che esistono tra questi ultimi e dell’influenza che essi esercitano sulla rivoluzione. Essi non possono accedere al sapere in ragione della loro situazione di classe. E’ per questo che essi non possono agire al momento giusto. Essi agiscono quando non dovrebbero e non agiscono quando dovrebbero. Cosi sbagliano molto spesso”.
Dunque il partito avrebbe avuto una missione educatrice, sarebbe servito da catalizzatore a livello delle idee. Ma il compito di raggruppare progressivamente le masse, di organizzarle, sarebbe spettato all’AAUD, che poggiava su una rete di organizzazioni di fabbrica, ed il cui obiettivo essenziale sarebbe stato quello di ridurre l’influenza dei sindacati; con la propaganda, certo, ma anche e soprattutto con azioni determinate, quelle “di un gruppo che mostra nella sua lotta ciò che deve divenire la massa”, diceva ancora Gorter. Finalmente, nel corso della lotta rivoluzionaria, le organizzazioni di fabbrica si sarebbero trasformate in Consigli Operai, comprendenti tutti i lavoratori e direttamente sottoposti alla loro volontà e al loro controllo. In breve, la “dittatura del proletariato” non sarebbe stata null’altro che una AAUD estesa all’insieme delle fabbriche tedesche.
GLI ARGOMENTI DELL’AAUD-E
Contraria ad un partito politico separato dalle organizzazioni di fabbrica, l’AAUD-E intendeva invece edificare una grande organizzazione unitaria, che avrebbe avuto il compito di condurre la lotta pratica diretta delle masse e anche di assumere la gestione della società sulla base del sistema dei Consigli Operai. La nuova organizzazione avrebbe avuto dunque obiettivi al contempo economici e politici. Da un lato, questa concezione differiva da quella del “vecchio sindacalismo rivoluzionario”, ostile alla costituzione di un potere politico specificamente operaio e alla dittatura del proletariato. Dall’altro, l’AAUD-E, pur ammettendo che il proletariato è debole, diviso e ignorante, e che un insegnamento continuo gli è dunque necessario, non vedeva tuttavia l’utilità di un partito di élite come il KAPD.
Le organizzazioni di fabbrica bastavano a questo ruolo d’educazione, poiché la libertà di parola e di discussione vi era assicurata.
E’ caratteristico che l’AAUD-E indirizzasse al KAPD una critica nello “spirito KAP”: secondo l’AAUD-E, il KAPD era un partito centralizzato, dotato di dirigenti professionali e di redattori stipendiati, che si distingueva dal Partito Comunista ufficiale solo per il suo rigetto del parlamentarismo; la “doppia organizzazione” non era niente altro che l’applicazione di una politica della “doppia mangiatoia”, a vantaggio dei dirigenti. La maggior parte delle tendenze presenti in seno all’AAUD-E, respingeva l’idea di remunerazione: “né tessere, né statuti, nulla di tutto questo”, si diceva. Alcuni giunsero perfino a fondare delle organizzazioni anti-organizzazioni…
Grosso modo, dunque, l’AAUD-E sosteneva che se il proletariato è troppo debole o troppo cieco per prendere delle decisioni nel corso delle sue lotte, non è una decisione presa da un partito che potrà porvi rimedio. Nessuno può agire al posto del proletariato ed esso deve, da sé stesso, superare i suoi propri limiti, senza di che sarà sconfitto e pagherà pesantemente il prezzo del proprio fallimento. La doppia organizzazione (partito politico e sindacato) era dunque, per l’AAUD-E, una concezione superata, retaggio della tradizione.
Questa separazione tra le tre correnti – KAPD, AAUD e AAUD-E – ebbe conseguenze importanti sul piano della pratica. Così, durante l’insurrezione della Germania centrale, nel 1921, scatenata e condotta in gran parte da elementi del KAPD (allora ancora riconosciuto come simpatizzante della III Internazionale), l’AAUD-E rifiutò di partecipare alla lotta, destinata, secondo essa, a camuffare le difficoltà della Russia sovietica e la repressione di Kronstadt.
Nonostante lo sgretolamento continuo, accelerato da polemiche molto vivaci e molto spesso rese ingarbugliate da questioni personali, e ad onta degli eccessi provocati da una delusione e da una disperazione profonde, “lo spirito KAP”, cioè l’insistenza sull’azione diretta e violenta, la denunzia appassionata del capitalismo e dei suoi luogotenenti “operai”, di qualsivoglia colore politico e sindacale (inclusi “i padroni del palazzo” di Mosca), esercitò per lungo tempo una sensibile influenza tra le masse. Bisogna aggiungere che tutte queste tendenze disponevano di organi di stampa importanti[1], generalmente finanziati con denaro di provenienza illegale; e che spesso i loro membri, ridotti alla disoccupazione a causa del loro comportamento sovversivo, erano estremamente attivi, nelle strade, nelle riunioni politiche, nelle assemblee pubbliche, ecc..
IL DISINGANNO
Si era creduto che la repentina crescita delle organizzazioni di fabbrica, tra il 1919 e il 1920, sarebbe continuata con la stessa cadenza nel corso delle lotte successive. Si pensava che le organizzazioni di fabbrica sarebbero potute diventare un grande movimento di massa, raggruppando “milioni e milioni di lavoratori coscienti”, i quali avrebbero controbilanciato il potere dei sindacati sedicenti operai. Partendo dall’ipotesi che il proletariato non può lottare e vincere se non come classe organizzata, si credeva che i lavoratori avrebbero elaborato, strada facendo, una nuova e sempre più forte organizzazione permanente. Soltanto dalla crescita dell’AAUD e dell’AAUD-E si poteva misurare lo sviluppo della combattività e della coscienza di classe.
Dopo un periodo di accelerata espansione economica (1923-1929), si aprì un nuovo periodo di lotte, che doveva portare, nel 1933, alla presa del potere per via legale da parte degli hitleriani. Intanto l’AAUD, il KAPD e l’AAUD-E erano sempre ripiegate di più su sé stesse. Alla fine non rimasero che alcune centinaia di aderenti, vestigia delle grandi organizzazioni di fabbrica del periodo precedente; sopravvivevano soltanto alcuni piccoli gruppi dispersi, di contro a un totale di venti milioni di proletari. Le organizzazioni di fabbrica non erano più delle organizzazioni generali dei lavoratori, ma dei nuclei di comunisti consiliari coscienti. Da allora, sia l’AAUD che l’AAUD-E, acquistarono il carattere di piccoli partiti politici, anche se la loro stampa pretendeva il contrario.
LE FUNZIONI
E’ soprattutto il piccolo numero di aderenti, che trasformò, alla lunga, le organizzazioni di fabbrica in partito politico? No, si è trattato piuttosto di un cambiamento di funzioni. Benché le organizzazioni di fabbrica non avessero mai avuto il compito dichiarato di dirigere uno sciopero, di negoziare con i padroni, di formulare delle rivendicazioni (questo era compito degli scioperanti), l’AAUD e l’AAUD-E erano delle organizzazioni di lotta pratica. Si limitavano a svolgere attività di propaganda e di sostegno. Tuttavia, incominciato lo sciopero, le organizzazioni di fabbrica si occupavano in gran parte della sua organizzazione: la stampa dell’organizzazione era la stampa dello sciopero, essa organizzava le assemblee degli scioperanti e gli oratori erano spesso membri dell’AAUD o dell’AAUD-E. Ma il compito di negoziare con i padroni spettava al Comitato di sciopero, in cui i membri delle organizzazioni di fabbrica non rappresentavano il loro gruppo come tale, ma gli scioperanti che li avevano eletti e davanti ai quali essi erano responsabili.
Il KAPD, in quanto partito politico, aveva invece un’altra funzione. Il suo compito consisteva soprattutto nella propaganda e nell’analisi economica e politica. Al momento delle elezioni esso faceva propaganda anti-parlamentare per denunciare la politica borghese degli altri partiti, faceva appello alla formazione di comitati d’azione nelle fabbriche, nei mercati, tra i disoccupati, ecc. – il cui compito doveva essere quello di spingere le masse, “istintivamente alla ricerca di nuovi orizzonti”, a liberarsi delle vecchie organizzazioni.
IL MUTAMENTO DI FUNZIONI
Ma di fatto, dopo la sconfitta e la repressione sanguinosa del 1921, e poi con l’ondata di prosperità che non tardò a manifestarsi, queste funzioni divennero puramente teoriche. Da allora l’attività di queste organizzazioni fu ridotta alla pura propaganda e all’analisi, cioè ad un’attività da raggruppamento politico. Scoraggiati dall’assenza di prospettive rivoluzionarie, la maggior parte degli aderenti abbandonò l’organizzazione. La diminuzione degli effettivi ebbe anche come conseguenza il fatto che la fabbrica non costituì più la base dell’organizzazione. Ci si riuniva in base al quartiere, magari in una birreria, dove qualche volta si cantava alla tedesca, in coro e lentamente, i vecchi canti operai di speranza e di rabbia. Non vi era più grande differenza tra il KAPD, l’AAUD e l’ AAUD-E. Praticamente i membri dell’AAUD e del KAPD erano gli stessi in riunioni nominalmente diverse e quelli dell’AAUD-E erano membri di un gruppo politico, anche se lo chiamavano con un altro nome. Anton Pannekoek, il marxista olandese che fu uno dei loro ispiratori teorici, scriveva a questo proposito (1927):
“L’AAUD, come il KAPD, costituiscono essenzialmente un’organizzazione che ha come scopo immediato la rivoluzione. In altri tempi, in un periodo di declino della rivoluzione, non si sarebbe assolutamente potuto pensare di fondare una tale organizzazione. Ma essa è sopravvissuta agli anni rivoluzionari; i lavoratori che un tempo la fondarono e combatterono sotto le sue bandiere non vogliono che l’esperienza di queste lotte si perda e la conservano come un germoglio per gli sviluppi futuri”.
Tuttavia, con tre partiti politici dello stesso colore, ce n’erano due di troppo. Con l’aumento dei pericoli, mentre si affermava la viltà senza nome delle vecchie e sedicenti potenti organizzazioni operaie, mentre i nazisti intraprendevano trionfalmente il cammino che doveva portarli dove tutti sappiamo, l’AAUD nel dicembre 1931, già separata dal KAPD, si fuse con l’AAUD-E; solo pochi elementi restarono nel KAPD, mentre alcuni militanti dell’AAUD-E passarono ai gruppi anarchici. Ma la maggior parte delle rimanenti organizzazioni di fabbrica si riunirono in una nuova organizzazione, la KAUD (Kommunistische Arbeiter Union: Unione Comunista Operaia), esprimendo così l’idea che la nuova organizzazione non fosse più un’organizzazione generale (come lo era stata la AAUD, per esempio) che riuniva tutti i lavoratori animati da volontà rivoluzionaria, ma soltanto un’organizzazione di lavoratori comunisti coscienti.
LA KAUD E LA “CLASSE ORGANIZZATA”
La KAUD esprimeva dunque il cambiamento sopravvenuto nelle concezioni dell’organizzazione. Questo cambiamento aveva un senso; non bisogna infatti dimenticare ciò che aveva significato sino ad allora la nozione di “classe organizzata”. L’AAUD e l’AAUD-E avevano creduto in un primo tempo che sarebbero state esse stesse ad organizzare la classe operaia, che milioni di operai avrebbero aderito alla queste organizzazioni. Era in fondo un’idea molto vicina a quella dei sindacalisti rivoluzionari di altri tempi, che si aspettavano di vedere i lavoratori aderire alla propria organizzazione: allora la classe operaia sarebbe stata infine una classe organizzata.
Ora, la KAUD invitava gli operai ad organizzarsi da sé, a costituire i comitati d’azione e a creare dei legami tra questi comitati. In altre parole, la lotta di classe “organizzata” non dipendeva più da un’organizzazione costruita preliminarmente alla lotta. Secondo questa nuova concezione la “classe organizzata” non era altro che la classe operaia in lotta sotto la propria stessa direzione.
Questo cambiamento delle concezioni aveva naturalmente conseguenze in numerose questioni: la dittatura del proletariato, per esempio. Infatti, dato che la “lotta organizzata” non era più compito esclusivo di organizzazioni specializzate nella sua direzione, queste ultime non potevano più essere considerate gli organismi della dittatura del proletariato. Contemporaneamente scompariva il problema che, fino a quel momento, era stato causa di molteplici conflitti: chi, fra il KAPD e l’AAUD avrebbe dovuto esercitare o organizzare il potere? La dittatura del proletariato non sarebbe più stata appannaggio di organizzazioni specializzate, si sarebbe trovata nelle mani della classe in lotta, che si sarebbe impadronita di tutti gli aspetti, di tutte le funzioni della lotta.
Il compito della nuova organizzazione, la KAUD, si riduceva dunque alla propaganda comunista, alla chiarificazione degli obiettivi, all’incitamento alla lotta contro i capitalisti e le vecchie organizzazioni, soprattutto per mezzo dello sciopero selvaggio, che avrebbe mostrato la forza e la sua debolezza della classe operaia. Questa attività non era meno indispensabile. La maggior parte dei membri della KAUD continuavano a pensare che “senza un ‘organizzazione rivoluzionaria capace di colpire duro, non può esserci una situazione rivoluzionaria come hanno dimostrato la rivoluzione russa del 1917 e, in senso contrario, la rivoluzione tedesca del 1918″ [2].
LA SOCIETA’ COMUNISTA E LE ORGANIZZAZIONI DI FABBRICA
Questa evoluzione nelle idee doveva necessariamente accompagnarsi ad una revisione dei presupposti concernenti la società comunista. In linea di massima l’ideologia dominante, negli ambienti politici e tra le masse, era plasmata sul modello del capitalismo di Stato. Beninteso, vi erano parecchie sfumature, ma nel complesso questa ideologia poteva essere riportata ad alcuni principi molto semplici: lo Stato, per mezzo delle nazionalizzazioni, dell’economia controllata, delle riforme sociali ecc., sarebbe stato il tramite che avrebbe permesso di realizzare il socialismo, mentre l’azione parlamentare e sindacale rappresentavano l’essenziale dei metodi di lotta. Su questa base i lavoratori non lottavano affatto come una classe indipendente, mirante prima di tutto a realizzare i propri fini, e dovevano affidare la gestione e la direzione della lotta di classe a capi parlamentari e sindacali. Va da sé che in questa ideologia partito e sindacato apparivano agli occhi degli operai come degli elementi costitutivi dello Stato, a cui spettava la gestione e la direzione della futura società comunista.
Durante una prima fase, quella che seguì la repressione dei tentativi rivoluzionari in Germania, questa tradizione impregnava ancora fortemente le concezioni dell’AAUD, del KAPD e dell’AAUD-E. Tutti e tre si pronunciavano per un’organizzazione che raggruppasse “milioni e milioni” di aderenti, con lo scopo di esercitare la dittatura politica ed economica del proletariato. Così l’AAUD dichiarava, nel 1922, di essere in grado di assumere, per quanto la riguardava, sulla base dei propri effettivi, la gestione del 6% delle fabbriche tedesche. Ma ora queste concezioni vacillavano. Fino ad allora le centinaia di organizzazioni di fabbrica, riunite e coordinate dall’AAUD e dall’ AAUD-E, reclamavano il massimo di autonomia riguardo alle decisioni da prendere, e facevano del loro meglio per evitare la formazione di “una nuova cricca di dirigenti”. Sarebbe stato possibile tuttavia conservare questa indipendenza in seno alla società comunista? La vita economica è altamente specializzata e tutte le imprese sono strettamente interdipendenti. Come si sarebbe potuta gestire la vita economica, se la produzione e la ripartizione delle ricchezze sociali non si fossero ricollegate a qualche istanza centralizzatrice? Lo Stato, in quanto regolatore della produzione e organizzatore della ripartizione delle ricchezze, non sarebbe stato pur sempre indispensabile?
Su questo punto vi era una contraddizione tra le vecchie concezioni della società comunista e le nuove forme di lotta che ora si preconizzavano. Si temevano la centralizzazione economica e le sue conseguenze, chiaramente dimostrate dai fatti; ma non si sapeva come premunirsene. La discussione verteva sulla necessità e il grado più o meno grande di “federalismo” o di “centralismo”. L’ AAUD-E tendeva piuttosto verso il federalismo; KAPD e l’AAUD inclinavano verso il centralismo. Nel 1923 Karl Schroder [3], teorico del KAPD proclamava che “più la società comunista sarà centralizzata, meglio sarà”.
Infatti, fino a che si restava sulle vecchie concezioni di “classe organizzata” questa contraddizione restava insolubile. Da una parte ci si ricollegava più o meno alle vecchie concezioni del sindacalismo rivoluzionario, “presa di possesso” delle fabbriche da parte dei sindacati; d’altra parte, come i bolscevichi, si pensava che una struttura centralizzatrice, lo Stato, dovesse regolare il processo di produzione e ripartire il “prodotto nazionale” tra gli operai.
Nondimeno, una discussione sulla società comunista, partendo dal dilemma “federalismo o centralismo”, è assolutamente sterile. Questi problemi sono dei problemi di organizzazione, dei problemi tecnici, mentre la società comunista è, prima di tutto, un problema economico. Al capitalismo deve succedere un diverso sistema economico, in cui i mezzi di produzione, i prodotti, la forza-lavoro non siano rivestiti dalla forma-valore, e in cui lo sfruttamento della popolazione lavoratrice a profitto di settori privilegiati sia soppresso. La discussione su “federalismo” o “centralismo” è priva di senso se non si é mostrato prima quale sarà la loro base economica. Infatti, le forme di organizzazione di una economia, non sono, in generale, forme arbitrarie; esse derivano dai principi stessi di questa economia. Così per esempio, il principio del profitto e del plusvalore, della sua appropriazione privata o collettiva, si trovano alla base di tutte le forme assunte da un’economia capitalista. Perciò non è sufficiente presentare l’economia comunista come un sistema negativo: niente denaro, niente mercato, niente proprietà privata o statale. E’ necessario mettere in luce il suo carattere di sistema positivo, mostrare quali saranno le leggi economiche che succederanno a quelle del capitalismo. Ciò probabilmente dimostrerà che l’alternativa “federalismo o centralismo” è un falso problema.
LA FINE DEL MOVIMENTO IN GERMANIA
Prima di esaminare più a fondo questo problema, non è inutile ricordare il destino, sul piano della pratica, della corrente nata dalle organizzazioni rivoluzionarie di fabbrica.
L’AAUD si era separata dal KAPD alla fine del 1929. La sua stampa preconizzava allora una “tattica flessibile”: il sostegno alle lotte operaie che avessero come unico scopo le rivendicazioni salariali, il riordinamento delle condizioni o dell’orario del lavoro. Più rigido, il KAPD vedeva in questa tattica l’inizio di uno scivolamento verso la collaborazione di classe, la “politica del mercanteggiamento”. Dopo l’espulsione del proprio dirigente Scharrer[4], colpevole di aver “patteggiato” con il nemico pubblicando un romanzo con la casa editrice del partito comunista tedesco, il KAPD finì per esaltare il ricorso al terrorismo individuale come mezzo per portare le masse alla coscienza di classe. Marinus van der Lubbe, l’incendiario del Reichstag, era legato a questa corrente. Dando fuoco allo stabile in cui si riuniva il Parlamento, egli voleva con un gesto simbolico incitare i lavoratori ad uscire dal loro letargo politico
Entrambe queste tattiche non diedero risultati. La Germania era attraversata allora da una crisi economica estremamente profonda, i disoccupati si moltiplicavano; non vi erano scioperi selvaggi, dato che nessuno si curava delle direttive sindacali, e i sindacati collaboravano strettamente con i padroni e con lo Stato. La stampa dei comunisti consiliari era frequentemente sequestrata; e in ogni caso i suoi appelli alla formazione di comitati d’azione autonomi non avevano alcuna eco. Per somma ironia, la sola grande lotta selvaggia di quel periodo, quella dei trasporti berlinesi (1932), fu organizzata da bonzi staliniani e hitleriani, in contrapposizione con i bonzi socialisti dei sindacati.
Dopo l’ascesa legale di Hitler al potere, i militanti delle varie tendenze furono arrestati e chiusi nei campi di concentramento, dove la maggior parte di loro morì. Nel 1945 alcuni sopravvissuti furono giustiziati su ordine della GPU, al momento dell’entrata in Sassonia delle truppe russe. Ancora nel 1952, a Berlino-ovest, un vecchio capo dell’AAUD, Alfred Weiland, fu prelevato in piena strada e trasportato all’Est, per vedersi condannato ad una pesante pena detentiva.
Oggi non vi è più traccia, in Germania, delle diverse correnti di consiliari. La liquidazione degli uomini ha causato quella delle idee di cui erano portatori, mentre l’espansione e la prosperità orientavano gli spiriti verso altre direzioni.
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[1] Si considerava nel KAPD che la redazione dei giornali dovesse essere “mutevole”, vale a dire presa in carico a turno dalle differenti sezioni locali del partito; ciò al fine di evitare la formazione di una “cricca” specializzata nella manipolazione. Ma mancano dettagli su quest’esperienza del più alto interesse, che fu effettivamente messa in pratica. Bisogna riconoscere tuttavia che la lettura dei diversi numeri di Ratekommunismus, in generale, non permette di scoprire delle differenze sensibili di idee, di presentazione, ecc.
[2] Ratekorrespondenz n. 2, novembre 1932 (organo clandestino ciclostilato della KAUD, la cui stampa, in quel periodo, era regolarmente sequestrata dalle autorità socialdemocratiche prussiane).
[3] Karl Schroeder (1844-1950) combattente spartachista, sul cui capo fu messa una taglia, poi dirigente professionista del KAPD, da cui fu espulso nel 1924; divenne in seguito funzionario del partito socialista. Fu uno dei rari dirigenti di questo partito ad organizzare una resistenza al nazismo. Condannato nel 1936 con altri vecchi della KAPD, ha oggi un posto onorevole nel “martirologio” del socialismo.
[4] Adam Scharrer (1889-1948) fabbro, poi combattente spartachista. In seguito dirigente professionista del KAPD dal quale è espulso nel 1930. Come Schroeder, è un romanziere, ma si orienta nell’altra direzione: a partire dal 1934 risiede a Mosca. Era considerato in Germania orientale un “pioniere della letteratura proletaria”. Va da sé che certi aspetti del suo passato restano nascosti al pubblico.
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