venerdì 25 novembre 2011

Ricordo del comunista consiliare Cajo Brendel a cura di Omar Wisyam

Colloquio con Cajo Brendel
sul comunismo dei consigli
(traduzione di Omar Wisyam)

Stai in guardia contro ogni mito!”
Questo colloquio del gruppo tedesco Revolution Times con Cajo Brendel, realizzato nel dicembre del 1999, è stato pubblicato nel gennaio 2001 nella brochure: Red Devil, Die Kronstadt-Rebellion. Alle Macht den Sowjets, nicht den Parteien! (La rivolta di Kronstadt. Tutto il potere ai soviet, niente ai partiti!), Bibliothek des Widerstandes (Biblioteca della resistenza), gennaio 2001, p. 21-27.




Red Devil: A tuo avviso, come si spiega la comparsa delle posizioni comuniste consiliari, e come potresti, brevemente, presentarle?
Cajo Brendel: Il comunismo dei consigli non è caduto dal cielo. Ha preso forma a poco a poco e si è sviluppato sul filo del tempo. Dopo l'entusiasmo iniziale per la rivoluzione russa, vari marxisti dell'Europa occidentale hanno cominciato a formulare alcune critiche. Tra di essi, Otto Rühle fu senza dubbio uno dei primi testimoni della pratica bolscevica a mettere per iscritto le sue esperienze (1). Il marxista olandese Gorter partecipò subito alle critiche al bolscevismo, ma la sua analisi critica (1920) (2) non si applicava che a qualche dettaglio. Gli attacchi si fecero più numerosi dapprima in seguito alle vivaci discussioni suscitate dalla rivolta di Kronstadt nel1921, poi quando, poco tempo dopo, l’azione dei bolscevichi si concretizzò nella Nuova politica economica (3). Più tardi, alla fine degli anni '20, si aggiunse il totale rigetto del capitalismo di Stato; infine, all'inizio degli anni '30, comparvero altre divergenze, ancora più numerose. Secondo me, la teoria del comunismo dei consigli ha raggiunto un provvisorio apogeo nel 1938 quando il marxista olandese Anton Pannekoek sottopose il leninismo nel suo insieme ad un'analisi marxista (4). Tuttavia, lo sviluppo del comunismo dei consigli non si arrestò lì. Lontanissimo da ogni ortodossia o da ogni forma di degenerazione, continua a servirsi del metodo di Marx per meglio comprendere la realtà sociale.
R. D.: La teoria comunista consiliare qualifica il KPD (Partito comunista tedesco) e lo SPD (Partito socialdemocratico tedesco) come esempi del «vecchio movimento operaio». Un «nuovo movimento operaio» con delle «nuove organizzazioni di classe» è in formazione. Dove vedi i segni di un tale «nuovo movimento operaio» e come vedi le differenze tra il «vecchio» e il «nuovo» movimento operaio? Esiste per voi una tradizione rivoluzionaria a cui richiamarsi o che potreste reclamare?
C. B.: la differenza tra il «vecchio» e il «nuovo» movimento operaio – messe da parte tutte le concezioni politiche e teoriche – risiede nel fatto che il «vecchio» movimento operaio è un movimento per gli operai (diretto dai politici o dagli intellettuali) mentre il «nuovo» movimento operaio (che ha appena smesso di usare i pannolini) è un movimento degli operai, cioè degli operai stessi. Io non penso che ci si possa richiamare a delle tradizioni. Vedo i segni (ed insisto sulla parola «segni») di un nuovo movimento operaio laddove i lavoratori fanno uno sciopero «selvaggio» (come si dice) assolutamente senza una coscienza preconcetta del suo senso e del suo significato, senza il sostegno di alcun partito né di qualsivoglia sindacato. E si potrebbero senza dubbio ritrovare altri segni della medesima natura in altre azioni degli operai.
R. D.: «Il comunismo non è una questione di partito (5), ma la formazione di un movimento di massa autonomo», questo era il titolo di un articolo del gruppo francese Le Prolétaire (6), che partecipò all'incontro di Bruxelles del 1947 (7). Come, all'interno del gruppo Daad en Gedachte (Atto e pensiero), vi situate in rapporto a questa affermazione, e come un tale «movimento di massa autonomo» può, e anche, deve nascere?
C. B.: Un movimento di massa è autonomo se non è convocato da individualità o da organizzazioni. Sorge spontaneamente dai rapporti sociali o politici. Sono assolutamente d'accordo con l'affermazione del gruppo Le Prolétaire.
R. D.: I comunisti consiliari hanno in passato criticato in egual misura il fascismo e l'antifascismo e si sono rifiutati di far parte di un campo o dell'altro, la democrazia qui o il fascismo là. Come vi situate in rapporto al fascismo che rinasce in Europa? E come vi situate in rapporto al movimento antifascista?
C. B.: Il fascismo rinascente in Europa non presenta evidentemente in un tutti i paesi lo stesso carattere né obbedisce alle stesse cause. Tuttavia, quale che sia la forma che riveste o quali che siano le sue cause si deve senz'altro combatterlo: ma non voglio avere niente a che fare con una lotta a fianco della borghesia.
R. D.: La maggior parte dei gruppi politici cerca di intervenire nelle manifestazioni, negli scioperi, ecc. per influenzare questi movimenti in una o in un'altra direzione, o perlomeno di diffondere le loro idee. Ci sono state all'interno del comunismo dei consigli delle divergenze tra gli attivisti e gli osservatori. Qual è il vostro punto di vista? Non è sbagliato restare passivi di fronte ai movimenti sociali esistenti? Quali sono i compiti dei comunisti dei consigli prima e durante i movimenti di massa e le lotte di classe?
C. B.: Certo è importante partecipare alle lotte. Ma... gli interventi dei diversi gruppi d'avanguardia non hanno alcun senso. Al contrario. Io ho affrontato questo tema in un articolo. Sono dell'avviso, già dalla mia giovinezza, che non ci sia niente da insegnare alla classe operaia, ma, casomai, tutto da imparare da essa. Come servirsi in seguito di ciò che si è appreso? Ho sempre agito a questo proposito in conformità ad una frase di Marx tratta da uno dei suoi primi testi, il Contributo ad una critica della filosofia del diritto di Hegel, là dove scrive: «Si devono costringere questi rapporti pietrificati a danzare cantando loro la propria melodia!». Non ho mai detto agli scioperanti: «Voi dovreste fare in questo modo o in quest'altro». Ho semplicemente cercato ogni volta di discutere con loro il senso delle loro azioni. E questo non è un comportamento passivo.
R. D.: A chi si rivolge il vostro giornale Daad en Gedachte quando la vostra azione politica diminuisce? Quale ruolo accordate al vostro giornale?
C. B.: Il gruppo Daad en Gedachte si è sempre rivolto a tutti coloro che hanno un punto di vista critico verso il «vecchio movimento operaio» sia che intravedano già il cammino del «nuovo movimento operaio» sia che lo ricerchino.
R. D.: Ci fu nel 1947 un incontro internazionale dei comunisti consiliari e altri gruppi internazionalisti (10). Si trattò di un tentativo di costruire una sorta di Internazionale dei comunisti dei consigli o più semplicemente di annodare dei rapporti più stretti tra gruppi in qualche modo affini provenienti da diversi paesi?
C. B.: Sfortunatamente non ho potuto all'epoca partecipare a quell'incontro internazionale, e non possiedo che un articolo apparso a questo proposito su un periodico comunista consiliare.
R. D.: La maggior parte del «vecchio movimento operaio» ha condannato l'azione dei marinai di Kronstadt. Trotsky ha minimizzato gli avvenimenti di Kronstadt definendoli una «tragedia». Come vi situate in rapporto a Kronstadt?
C. B.: Non ho affatto le stessa concezione dei bolscevichi, di Lenin, di Trotsky, di Stalin o di chi altro ancora sulla rivolta di Kronstadt. L'ho sempre considerata come precedente della rivoluzione proletaria in Russia (8).
R. D.: Come vi situate in rapporto ai trotskysti e agli anarchici? Noti dei punti in comune e dei punti di divergenza?
C. B.: Né sì né no. Si può definire il trotskysmo come leninismo e lo stalinismo come una varietà di leninismo. Tutti e due si fondano su un'interpretazione erronea di Marx, risultante dai rapporti sociali in Russia. Certamente la questione è diversa con l'anarchismo, sebbene esso si inganni su Marx sotto varie angolature. Inoltre il loro metodo di lavoro è parecchio distante dal mio. Sono tuttavia d'accordo con l'anarchismo quando si distingue nella lotta contro ogni potere di Stato, che si dica borghese o proletario.
R. D.: Come si situano i comunisti consiliari in rapporto ai partiti e alle elezioni?
C. B.: I partiti sono il frutto delle rivoluzioni borghesi e sono indispensabili al capitalismo. Io non ho partecipato mai ad una elezione nella società capitalista. Le sole elezioni alle quale io potrei partecipare sarebbero quelle per i consigli operai.
R. D.: I comunisti dei consigli considerano la rivoluzione dell'ottobre 1917 in Russia come una «rivoluzione borghese». Puoi darci qualche spiegazione in proposito?
C. B.: La Russia era negli anni Venti un paese in cui la servitù non esisteva più e che possedeva alcune industrie, ma il paese conservava ancora nel suo insieme le stigmate della feudalità. Lo zar, la chiesa e la nobiltà erano al potere, l'agricoltura era la branca principale della produzione, e la stragrande maggioranza della popolazione era contadina.
Se c'era una borghesia, non era paragonabile a quella che c'era in Francia nel XVIII secolo, compenetrata della propria importanza e cosciente di sé stessa. Il compito della rivoluzione, che acquistava forza dall'inizio del XX secolo in Russia, era di mettere fine allo zarismo, di spezzare il potere della chiesa e della nobiltà. Era necessario inevitabilmente per questo scopo sviluppare nuovi rapporti di produzione. La rivoluzione russa doveva seguire le stesse fasi della rivoluzione francese, ma in circostanze che non erano affatto le stesse. Considerando ciò che era da fare in Russia, si può dunque parlare di una rivoluzione borghese, che tuttavia, a causa della debolezza della borghesia russa, fu una rivoluzione in cui i compiti storici della borghesia dovettero essere compiuti da un'altra classe.
Nessuno l'aveva predetto meglio di Lenin agli inizi del XX secolo. Si può leggere in uno dei suoi primi testi: «La rivoluzione avvenire sarà una rivoluzione borghese, ma una rivoluzione borghese senza borghesia».
La rivoluzione borghese russa offre numerosi punti di paragone con la rivoluzione francese del XVIII secolo. In Francia, il materialismo dell'epoca era servito come un'arma nella lotta contro la religione, poiché essa costituiva la base della potenza della chiesa. Fu lo stesso in Russia. E il materialismo con il quale si combatté la religione in Russia, che Lenin chiamava il materialismo storico, era semplicemente il materialismo francese del XVIII secolo. Pannekoek l’ha magistralmente dimostrato nel 1938. Ma non si può muoverne rimprovero a Lenin. Sono le condizioni russe che l'hanno condotto ad interpretare alla maniera russa il materialismo sviluppato da Marx ed Engels nei rapporti capitalisti. La rivoluzione russa si distingue anche per un'altra cosa che si ritrova egualmente nei rivoluzionari francesi. Tuttavia con una lieve differenza. I giacobini francesi aveva preso in prestito i loro modelli e le loro teorie rivoluzionarie dalla storia romana; i bolscevichi non girarono la testa all'indietro verso l'antichità classica ma al contrario verso l'avvenire proletario. In Francia nel 1789 fu tutto come in Russia nel 1917, l’immaginario che era nelle teste non corrispondeva assolutamente alla pratica reale. In Francia, dove si sognava la libertà e l'eguaglianza, non ci si rendeva conto che si trattava di libertà giuridica e di eguaglianza di fronte alla legge. Trotsky ha scritto da qualche parte: «Si credeva di finire la rivoluzione di Febbraio e si arrivò effettivamente all'Ottobre». In realtà è vero il contrario: si credeva di avanzare sul cammino del comunismo e si faceva una rivoluzione borghese senza la borghesia.
Ciò che doveva arrivare, il capitalismo di Stato, arrivò perché la borghesia era troppo debole per costituirsi come classe dirigente. Per ritornare a Lenin ancora una volta, egli aveva ragione quando si descriveva come un giacobino!
R. D.: Ci sono stati dei tentativi di pubblicare dei testi dei comunisti dei consigli in esperanto allo scopo di superare la strettoia delle frontiere nazionali e linguistiche. Come vi situate in rapporto agli intellettuali?
C. B.: I comunisti dei consigli del gruppo dei Comunisti Internazionalisti hanno pubblicato dei testi in esperanto all'inizio degli anni '30. Non l'abbiamo più rifatto dopo la seconda guerra mondiale; i nostri testi e la nostra corrispondenza raggiungono quei paesi di cui padroneggiamo più o meno le lingue. Non abbiamo mai dubitato dell'intelligenza dei lavoratori; la nostra diffidenza andava agli intellettuali che appartenevano alla borghesia o ai gruppi d'avanguardia.
R. D.: Come vi situate in rapporto ai simboli del «vecchio movimento operaio» (per esempio la bandiera rossa, la falce e il martello, l'Internazionale, il pugno chiuso, il termine «compagno», ecc.)?
C. B.: Tutto il gruppo Daad en Gedachte, io compreso, non abbiamo mai accordato un grande valore ai simboli. Il nostro interesse si è sempre rivolto a ciò che era essenziale nei gruppi, nei movimenti, ecc., a ciò che significavano. Del resto, l’Internazionale è da tanto tempo cantata dai peggiori riformisti! E ben altri simboli sono stati svuotati.
R. D.: Quali sono state le reazioni nelle discussione del novembre 1998 in Germania quando vi hai tenuto delle riunioni e delle conferenze?
C. B.: Sono stato molto contento delle reazioni di numerosi uditori. Erano in generale molto obiettivi e mostravano di avermi perfettamente compreso. Con la sola eccezione di due membri del CCI (10), che non erano là per discutere e tennero soltanto – per fortuna molto brevemente – un discorso di propaganda, a favore della loro organizzazione, che non aveva nulla a che vedere con l'argomento della mia esposizione. Questi hanno, in seguito, pubblicato un articolo molto lungo nel loro giornale a questo proposito, in cui le menzogne non vengono risparmiate.
R. D.: Quali sono, a tuo avviso, le posizioni comuniste consiliari che sono state confermate e quali no dalla storia e dal passato?
C. B.: Penso che la questione della conferma o no delle posizioni comuniste consiliari dalla storia non ha alcun senso. Non si tratta di posizioni più o meno buone ma di analisi, di una anlisi della realtà dove abbiamo sempre a che fare con un processo. E l'analisi ha ottenuto migliori risultati nella misura in cui processo si evolve.
R. D.: Quali sono secondo te le ragioni per le quali il comunismo dei consigli è rimasto fino ad oggi senza una vera influenza? Cosa rimane del comunismo consiliare oggi?
C. B.: Se si condividono le concezioni dei gruppi d'avanguardia come si esprimono nel verbo leninista: «senza teoria rivoluzionaria, non c'è pratica rivoluzionaria» (11), si può pensare che le idee del comunismo consiliare avrebbero potuto avere una maggiore influenza di quella che hanno. La realtà è un'altra. Infatti non esiste una teoria pura di ogni pratica; la teoria si appoggia su una pratica, cioè su dei fatti. Non è quella teoria o quell'altra, o quel punto di vista oppure quell'altro che influenzano la realtà, ma il contrario. Questa era esattamente la linea di condotta di Marx e di Engels. Non concepisco il comunismo dei consigli come un «movimento» in senso stretto; secondo me, è il movimento dei lavoratori ad essere importante, e questo deriva dalla loro posizione sociale, che abbiano conoscenza delle idee comuniste consiliari o no. Essi combattono non a causa di queste idee, ma perché il capitalismo li costringe.
R. D.: Come giudicate la situazione attuale in quanto comunisti consiliari?
C. B.: La situazione attuale è evidentemente un momento di un processo. Tutto ciò che posso dire è che ho visto le lotte di classe modificarsi continuamente nel corso di cinquant'anni. Per fare un esempio tra i tanti, cinquant'anni fa le occupazioni delle fabbriche erano completamente diverse da quelle di oggi.
R. D.: Come vedi le prospettive della sinistra alla fine del XX secolo? I comunisti dei consigli sono interessati a collaborare con altri gruppi? Se sì, in quali settori e in quali condizioni?
C. B.: La risposta dipende naturalmente da ciò che si intende con «sinistra»? Se la si intende nel senso di tutti quei gruppi che si considerano l'avanguardia del proletariato e si considerano i suoi educatori, la risposta è semplice: non c'è nessuna prospettiva! Per la classe operaia, al contrario, c'è una prospettiva, che se ne abbia o no una nozione chiara: è la rivoluzione, che il capitalismo suscita inevitabilmente. Per quanto riguarda gli avanguardisti, non vedo l'utilità di collaborare con loro.
R. D.: Parliamo di Marinus van der Lubbe. Volle distogliere la classe operaia dalla sua apatia incendiando il Reichstag (12). Voleva in qualche modo sostituirsi ad essa? Il KAPD (Partito comunista operaio tedesco) con la sua tendenza al putsch, non ha spesso agito al posto dei lavoratori?
C. B.: Non ho mai dubitato dei sentimenti sinceramente proletari di van der Lubbe. Ciò che si attendeva, o ciò che sperava, dalla sua azione era, a mio avviso, illusorio. Quanto al KAPD, non sono certo che si sia sostituito alla classe operaia con la sua cosiddetta tendenza al putsch. Mi piacerebbe che mi si fornissero degli esempi in proposito.
R. D.: Cosa intendi con «azione diretta»?
C. B.: A dire il vero io non utilizzo mai questa espressione. Parlo piuttosto di atti spontanei o di ciò che si chiamano azioni «selvagge» o scioperi «selvaggi».
R. D.: Cosa raccomanderesti alle lettrici o ai lettori convinti dalle tue spiegazioni?
C. B.: Tutto ciò che potrei dire loro, è: «Lascia cadere ogni illusione, guardati da ogni mito». Questo è il fil rouge del mio pensiero.
R. D.: Un'ultima parola...
C. B.: Sono curioso di sapere ciò che pensate della nostra discussione.
NOTE
 (1) Si vedano, per esempio, due articoli di Otto Rühle «Mosca e noi» e «Resoconto su Mosca» (apparsi nella rivista Die Aktion nel 1920). Ma anche due testi più tardi: “Fascismo bruno, fascismo rosso” (redatto nel 1939, ma pubblicato soltanto nel 1971 in tedesco; e «La lotta contro il fascismo comincia dalla lotta contro il bolscevismo» (articolo apparso in inglese nella rivista americana Living Marxism, vol. 4, n° 8, settembre 1939).
(2) Vedi: Herman Gorter, Risposta a Lenin su “La malattia infantile del comunismo”, e dello stesso autore l'ultima lettera a Lenin (1921).
(3) Dopo la rivolta di Kronstadt, mentre in Russia mancavano tutti i prodotti di base, Lenin impose al partito bolscevico la Nuova politica economica, nel 1921, che ripristinò, tra le altre misure, la libertà per i contadini di vendere al mercato una parte della loro produzione.
(4) Nel 1938, Anton Pannekoek pubblicò in tedesco, con lo pseudonimo di John Harper, una critica delle concezioni di Lenin dopo aver letto il suo Materialismo ed empiriocriticismo – pubblicato nel 1908 in russo ma tradotto in tedesco e in inglese soltanto nel 1927 – con il titolo di Lenin filosofo.
(5) Questa espressione ricorda un articolo di Otto Rühle, «La rivoluzione non è affare di partito», apparso originalmente il 17 aprile 1920, con il titolo «Un nuopo partito comunista?», nella rivista Die Aktion (1911-1932) animata da Franz Pfemfert (1879-1954).
6) Le Prolétaire - Organe du communisme révolutionnaire era pubblicato alla fine della seconda guerra mondiale dai Communistes révolutionnaires (CR), degli ex-trotskysti legati ai tedeschi e agli austriaci, anch'essi ex-trotskysti, del gruppo Revolutionäre Kommunisten Deutschlands (RKD), esiliati in Francia e in altri paesi prima della guerra, che hanno condotto una propaganda internazionalista durante il conflitto.
(7) Dei piccoli gruppi di vari paesi avendo mantenuto le posizioni internazionaliste durante la seconda guerra mondiale manifestarono il bisogno di riunirsi per rinnovare i contatti dopo la marea sciovinista che seguì la vittoria degli Alleati. Una conferenza internazionale ebbe luogo a Bruxelles il 25 e il 26 maggio 1947, in cui dei gruppi e delle individualità di differenti sensibilità politiche dei Paesi Bassi, del Belgio, della Svizzera, della Francia e dell'Italia furono invitati dal Communistenbond Spartacus.
(8) Si veda l'articolo di Cajo Brendel, «Kronstadt: Proletarischer Ausläufer der russischen Revolution» (Kronstadt, precedente proletario della rivoluzione russa), in J. Agnoli, C. Brendel, I. Mett, Die Revolutionäre Aktionen der rus­si­schen Arbeiter und Bauern (Le azioni rivoluzionarie degli operai e dei contadini russi), Karin Kramer Verlag, 1974.
(9) Si vedano vari passaggi in Che fare? (1902) e in Un passo avanti e due indietro (1904).
(10) Courant communiste international; gruppo che pubblica in Francia il mensile Révolution internationale e una rivista teorica trimestrale, La Revue internationale. La CCI diffonde i suoi scritti in variepaesi e varie lingue.
(11) “Senza teoria rivoluzionaria, nessun movimento rivoluzionario”, in Che fare?
(12) Si vedano due testi di Pannekoek: “Il gesto personale” e “La distruzione come mezzo di lotta”.

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