Il gioco del pollo: l’eurocrisi
da Insurgent Notes, n.6, giugno 2012
http://insurgentnotes.com/
Inizi dell'estate del 2011, la crisi dei
debiti sovrani colpisce la periferia dell'Europa, mettendo quasi a rischio
l'euro stesso. Con il lancio delle politiche di austerità da parte dei “ministeri” in carica di
Bruxelles e Francoforte e il “default ordinato” in Grecia, le acque si
sono un po' calmate, solamente a causa delle iniezioni di liquidità della Banca
Centrale Europea. La primavera, tuttavia, sembra annunciare nuove tempeste
all'orizzonte, con nuove pressioni sul debito sovrano spagnolo e il futuro
incerto della Grecia.
A prescindere dalle previsioni, sempre
incerte, questo articolo cerca di ricostruire la dinamica della crisi Europea
nell'ultimo anno, collocandola nel contesto della crisi globale, della quale è
un “punto caldo” fondamentale
[1]. La questione è se è possibile cogliere i contorni di un conflitto, non
ancora competamente allo scoperto ma nemmeno completamente velato, tra, da una
parte, i palazzi di Wall Street – FED -Tesoro americano, con la loro appendice
finanziaria britannica, e, dall'altra, una contro- strategia di Berlino,
quantunque ancora no perfettamente definita. Identificare una logica specifica
dietro gli eventi è fondamentale, sia analiticamente che politicamente, per
cogliere le possibili linee tendenziali della crisi. In questo modo possiamo
riconoscere aspetti e umori delle classi sociali in Europa mentre cerchiamo un
punto di rottura – per ora solo abbozzato negli occasionali movimenti degli
Indignados e nelle lotte in Grecia – oltre la critica di una generica
“speculazione finanziaria” e oltre il rischio di essere spinti ai margini in
atteggiamenti localistici o nazionalisti anti-Germania.[2]
Un'infusione di
ossigeno nell'impasse globale?
Dopo numerosi mesi di fuochi di artificio,
con i cambiamenti politici in Grecia, Spagna e Italia, e il declassamento
finale dei debiti sovrani di mezza Europa, all'inizio del 2012 le prospettive
per l'euro e per l'Unione Europea sembravano molto meno scure. Se i mercati si
erano concessi una pausa, era dovuto prima di tutto alla doppia operazione di
fine di dicembre e di fine di febbraio, attraverso la quale la BCE aveva accordato più o meno
mille miliardi di euro alle traballanti banche per più di tre anni ad un tasso
di interesse simbolico, in cambio di garanzie svalutate o di un debito ad hoc,
con emissioni garantite da vari stati [3]. Questa era una mossa necessaria,
sicuramente presa con il consenso di Berlino, per proteggere le banche dai
rimborsi in scadenza previsti per quest'anno (800 miliardi di euro) durante una
stretta creditizia e in vista del
bisogno di ricapitalizzazione, cosa che sin dallo scorso autunno paralizzava il
finanziamento privato europeo, appesantito com'è da titoli tossici e bond
statali svalutati della periferia europea. Il rovinoso corto circuito tra le
banche e il finanziamento pubblico era stato così temporaneamente bloccato. Ma
l'infusione di ossigeno è alla fine basata su su un gigantesco gioco di
riciclo, che alla fine peserà sul bilancio statale, e attraverso il quale le
istituzioni finanziarie acquistano i titoli degli stati europei attualmente
sotto attacco, facendo profitti da un “carry trade” di 5-6 punti percentuali [4].
Ad ogni modo, la banche europee, e specialmente quelle della periferia,
non hanno, di fatto, ricominciato a prestare a famiglie e imprese.
Questo la dice lunga su come la situazione
rimarrà precaria, sospesa tra fughe di capitali dall'euro e costi di
finanziamento sovrano (1700 miliardi di euro a scadenza nel 2012), che stanno
attualmente oscillando ad alti livelli, e dai quali la discesa non sarà
indolore, in un contesto di crescente
competizione globale per “buona” liquidità (11.500 miliardi di debito pubblico
globale a scadenza). Nello stesso tempo, è avvenuto il default “volontario”
della Grecia, e le conseguenze sono ancora visibili, specialmente alla luce
della imminente crisi sovrana portoghese, e delle acque burrascose in cui sono
entrate Spagna e Italia. In queste nazioni la recessione è già una realtà,
mentre in un buon numero di altri paesi europei, inclusa la Germania, è molto
probabile un rallentamento. Nel frattempo, la tanto attesa ripresa negli Stati Uniti rimane sempre di
più un punto interrogativo, il che ha spinto la Fed a garantire un tasso di interesse
virtualmente nullo fino al 2014 (ci sarà un terzo “quantitative easing”?), in
un contesto di rallentamento globale che è anche dovuto alle crescenti
difficoltà dei paesi emergenti, per prima la Cina. Sono queste,
quindi, le ragioni per cui l'epicentro della crisi si sta spostando ancora una
volta in Europa. Spontaneamente?
Il gioco dei
polli
Verso la metà dell'anno scorso, non appena si sono esauriti gli
effetti dell'iniezione di liquidità della Fed, [6] evidenziando il rischio di
un “double dip” negli Stati Uniti, abbiamo visto una nuova ondata di fondi
speculativi scommettere contro i debiti sovrani europei, un'ondata che ha
portato l'Italia e la Spagna
in una pericolosa zona grigia tra la crisi di liquidità e l'insolvenza, ma che
ha colpito anche la Francia
e il suo sistema bancario. Le crisi dell'emissione di debito pubblico e la
svalutazione delle attività delle banche europee, lasciate senza liquidità da
un ritiro simultaneo di fondi statunitensi, si alimentavano reciprocamente,
mentre l'euro stesso entrava nella zona di rischio.
Il doppio calcolo qui [7] è di ricavare
profitti dal deterioramento dei bilanci pubblici e di dare all'Europa un serio
avvertimento, specificatamente alla BCE e in maniera particolare alla Germania,
in modo che garantiscano in maniera più sostanziale e più certa i debiti
della periferia. A fronte del rischio di perdite dirette, qualcosa che è stato
impedito dall'intervento statale ma che è ora all'ordine del giorno (come
mostrato dagli eventi in Grecia), le richieste sono chiare, la Germania deve salvare
l'euro... dai mercati finanziari (!), si legge nel verdetto di George Soros,
che chiede il lancio degli eurobond.[8] O, come a riaffermato il New York Times
commentando il summit europeo dello scorso dicembre, l'austerità europea non
sta funzionando, ed è tempo di stampare più moneta. La BCE dovrebbe funzionare come
prestatrice di ultima istanza e salvare i PIIGS
(Portogallo-Italia-Irlanda-Grecia-Spagna); l'Unione Europea deve diventare una vera “transfer union” dal centro alla
periferia per stimolare la
“crescita”; in breve, la
Germania deve fare la sua parte.[9]
E questo è il punto di convergenza che,
senza dover ricorrere a teorie del complotto, vede Washington e Wall Street più
“europee” e “Keynesiane” di Berlino, e infatti questi stanno cercando
riavvicinamenti in funzione anti-tedesca con i governi europei con i maggiori
problemi di bilancio [10]. Il puntellamento dei debiti pubblici europei
garantito dall'UE serve un po' come bolla sostitutiva per ingrassare i profitti
della finanza. Dall'altra parte dell'Atlantico l'obiettivo non è, se non per
una minoranza dell'elite, la fine dell'euro ma il rilancio di una “crescita”
basata su una nuova ondata di privatizzazioni di servizi pubblici e
sull'acquisizione a basso costo e/o sull'eliminazione selettiva di banche e pezzi
dell'apparato produttivo da parte dei flussi finanziari che stanno guadagnando
dall'eurocrisi.[11] Questo è il Gioco del Pollo avviato tra Washington/Wall
Street e Berlino che non è ancora stato spinto, finora -ma per quanto ancora?- fino al limite estremo per paura del collasso
totale [12]. Il palazzo della grande finanza e Obama hanno rovesciato il
tavolo: l'epicentro della crisi non sarà più negli Stati Uniti, ma in Europa!
Quindi l'Eurocrisi è una fase cruciale
della crisi che, nel generale deterioramento della situazione, sta anche fdando
vita ad una guerra finanziaria in campo occidentale: tra l'euro e il
dollaro, tra la finanziarizzazione transnazionale collegata alla garanzia del
potere imperiale USA, e la finanziarizzazione secondo il modello tedesco e
europeo.
La strategia di
Berlino
Se la Germania accetta questo programma, dovrà
garantire i debiti europei col proprio bilancio per evitare “default disordinati” nella finanza
internazionale e perdite reali (sui pagamenti degli interessi, derivati,
collateral debit swaps..) ma dovrà presto far fronte al deterioramento
dell'abilità dei mercati finanziari di riprendersi e ad una cresciuta
possibilità di ricatto da parte dei centri del potere finanziario. I titoli di
stato USA continueranno a rappresentare il “porto sicuro” per gli spaventati
investitori globali, permettendo al complesso Fed- Tesoro USA di ricevere
risorse finanziarie a tassi di interesse estremamente bassi e di emettere
liquidità per mantenere vivo il sistema finanziario, mentre l'euro sarà
seriamente indebolito come valuta mondiale e potenziale rivale del dollaro.
Inoltre, l'indiretta conseguenza sarebbe di ridurre la base produttiva Europea
(partendo da quella tedesca) alla funzione di attività sicure per una nuova
ondata di finanza speculativa, attraverso la messa in ipoteca del suo enorme
debito pubblico.
A differenza di alcune interpretazioni
superficiali, possiamo affermare che gli interessi di Berlino coincidono con
quelli dell'Europa e dell'euro, ma ovviamente non alle condizioni appena
espresse. Quindi il governo Merkel sta resistendo alle pressioni per politiche
fiscali e monetarie anti-austerità in ogni modo possibile. Non senza
contraddizioni [13] e abbastanza pragmaticamente, sta emergendo un approccio
unitario su varie questioni , un
approccio che si sta imponendo sui partner europei della Germania. I
summit europei dei primi di dicembre 2011 e di fine gennaio 2012 hanno adottato
una strategia per evitare un nuovo indebitamento che avrebbe ulteriormente
indebolito l'euro e che, se considerato su un unico bilancio europeo, avrebbe
messo il bilancio tedesco e la competitività dell'industria tedesca a rischio.
Questo spiega il rigido patto di bilancio, anche se significa un rallentamento
delle economie tedesche ed europee e una rottura con Londra [14].
Solo in questo modo Berlino permette alla
BCE di monetizzare, parzialmente e indirettamente, i debiti sovrani europei e
di lanciare un effettivo fondo di salvataggio statale (il MES, Meccanismo di
Stabilità Europeo), muovendosi alla fine da li e per passare solo in una
seconda fase all'emissione degli eurobond.. ma Berlino lo farà esattamente come
lo ha sinterizzato la Merkel:
“erst sparen, dann retten” (prima risparmiare, poi salvare), e non alle condizioni richieste
dalla finanza britannica. Prima risparmiare, poi vedere se c'è qualcosa da “salvare”.
Contestualmente,
nel gioco del “default volontario” greco, mentre Berlino ha chiarito di stare
prendendosi del tempo per “sterilizzare” parte dei titoli tossici, e facendo
anche pagare qualcosa alle banche, ha anche lanciato un lieve avvertimento alla
finanza speculativa (specialmente sulla questione dei credit default swap, i
cui pagamenti sarebbero innescati dal un “default disordinato”). La Merkel, inoltre, sta
portando avanti, con un significativo consenso in patria, alcune timide
proposte di “regolare” la finanza [15] (tassazione, le agenzie di rating,
limitazioni agli investimenti di breve periodo etc.)[16]. Questo è chiaramente
un compromesso, non una strategia per un confronto diretto con gli Stati
Uniti e con la finanza internazionale. E questo compromesso non è affatto una
garanzia di salvare l'euro, nel qual caso Berlino sta considerando, come ultima
risorsa, un piano B per uscire dalla moneta unica. Inoltre, rimane da vedere
come reagirà la popolazione dell'Europa periferica – prima di tutto la Grecia, ma anche l'Est
Europa (considerando gli sviluppi in Ungheria e Romania) – alle conseguenza
delle terapie shock praticate su di loro in vivo [17], e se la crisi
concederà alla strategia tedesca il tempo di consolidarsi e se, invece, in uno
scenario di rottura, cristallizzerà un sentimento anti-Berlino da una parte e
un corrispondente rifiuto dell'austerità da parte del proletariato tedesco
dall'altra.
La posta in
gioco
È importante sottolineare che ciò che è in
gioco non è una partita tra le speculazioni anglo-sassoni e la produzione
“reale” tedesca. La “finanziarizzazione”, che è produttiva a suo modo in quanto
condizione per realizzare profitti e per lo sfruttamento, è oggi la forma generale dell'accumulazione
capitalista. I progetti “sangue sudore e lacrime” di Obama e di Merkel mirano
alla conquista globale dei flussi più grandi di valore. La posta in gioco è l'euro come alternativa o
addirittura progetto rivale al dollaro, o, messa in un altro modo, come una
finanziarizzazione diversa sotto la guida della Germania.
Chiunque può vedere che, nella crisi
attuale, il salvataggio della finanza (“transnazionale”) statunitense e
britannica è stato possibile a causa dell'uso -tutto tranne che neutrale- del
dollaro come valuta globale, senza menzionare il ruolo di Washington come
garante militare dell'ordine internazionale.
Parte degli enormi debiti accumulati dai partiti privati viene così
monetizzata e rilevata sia da i “ceti medi”, colpiti dal collasso della propria
borsa e del proprio mercato immobiliare, che dagli attori internazionali: Cina
e Giappone, in quanto possessori di ingenti riserve di dollari e di titoli di
stato USA , e adesso l'Europa. Riduzione della leva finanziaria utilizzata come
arma nel mezzo della crisi! Il progetto euro, vogliamo ribadire, è stato
concepito precisamente per limitare il signoraggio del dollaro. Era
destinato non semplicemente ad attrarre
capitale, ma a costruire un polo Europeo forte abbastanza da riuscire ad
appropriarsi esso stesso di valore globale, da catturare la crescente
produzione dei paesi in via di sviluppo e allo stesso tempo da ridurre i propri
legami con la bilancia dei pagamenti USA. Dopo la riunificazione nazionale, il
potere economico tedesco ha iniziato a incentrare l'economia continentale su di
se, non solamente per quanto riguarda la produzione creando filiali aziendali
al di la dei propri confini, ma anche finanziariamente, riciclando gli avanzi
commerciali all'interno dell'UE – grazie alla politica di bassi tassi di
interesse della Bce – attraverso le banche della periferia (abbiamo quindi a
che fare con qualcosa che va ben oltre
un mero neo-mercantilismo basato sui flussi commerciali).
La piattaforma continentale è stata quindi
usata per uno spostamento, non
troppo visibile, verso Russia e Cina. Una BCE come “prestatore di ultima
istanza”, come una vera banca centrale, doveva emergere alla fine di questo
processo di più profonda integrazione economica e politica, e non prima.
Con la crisi, tuttavia, questa
finanziarizzazione alla europea, non ancora matura, ha preso non solo il
carattere predatorio della finanza anglo-sassone, ma è anche caduta nella
contraddizione tra l'apparato industriale tedesco che ha bisogno di mercati
esterni e l'esplosione di una bolla che sta sconvolgendo la costruzione
dell'Europa. La finanza europea è quindi molto più collegata a, e subordinata a, la rete dei
derivati USA, dai quali tutti gli attori europei, che fossero “cicale o
formiche”, stavano traendo sostentamento nella fase “felice” della
globalizzazione. Ora bisogna pagare il conto. La situazione è stata finora sostenuta da Berlino, grazie al
supporto alle proprie banche e imprese
(cosa che però ha aumentato il debito pubblico a più dell'80% del PIL), e dalle
esportazioni che hanno beneficiato dello stimolo monetario della Cina allo
scoppiare della crisi. Ma per quanto a lungo? È nondimeno ovvio che il
fallimento del progetto europeo assesterebbe un duro colpo non soltanto ad una
politica europea più indipendente dal suo partner transatlantico e orientata
verso Russia e Cina, ma anche alla vana ambizione di uscire dalla crisi con un
assetto geo- economico tendenzialmente multipolare che avrebbe
parzialmente compensato la posizione militare unipolare degli Stati Uniti (il
che spiega le grandi preoccupazioni di Pechino e Mosca).
Quindi “fare quello che fa la Fed”, stampare moneta in
queste condizioni – per esempio, senza essere stati capaci di imporre l'euro
come valuta di riserva globale o
almeno come valuta di riserva competitiva col dollaro [19] – significherebbe
che la BCE
rifornirebbe l'Europa di credito fresco di proprietà della finanza
internazionale, che costituirebbe così un'enorme ipoteca sulla produzione attuale
e futura [20]. Questo sarebbe qualcosa di piuttosto diverso dalla spesa in
disavanzo per investimenti e consumi di cui piace tanto chiacchierare al centro
sinistra europeo, seguendo i suggerimenti di … Paul Krugman.
Una nuova fase
della crisi
Dietro questo scontro, vediamo i contorni
di un inevitabile nuova fase: la svalutazione di un'enorme massa di capitale
fittizio (Marx) che è stato accumulato durante un ciclo di oltre trent'anni di
crescita basata sul debito. Quello passato è un ciclo che può vantare un
indubbio successo per il capitale, costruito sullo spartiacque degli anni '70
con tre elementi cruciali: la fine del gold-dollar standard nell'agosto del
1971 che ha aperto le porte
all'autonomizzazione della valuta; la riconciliazione Cino-Americana del 1972
che ha smantellato il bipolarismo post-bellico e ha aperto alla Cina il mercato
mondiale [21] oltre a rompere il fronte
delle nazioni periferiche; e infine la vittoriosa reazione contro il lungo “'68” con l'integrazione delle sue richieste socialmente recuperabili, fatte convergere
nel processo multiforme di finanziarizzazione (e l'eclissi della vecchia
sinistra). Vista in quest'ottica, la finanza diventa la modalità di
accumulazione che ha permesso all'occidente di centralizzare il valore prodotto
nelle nuove officine globali e a mercificare e tendenzialmente sussumere come
profitto tutto il lavoro e le attività riproduttive, aumentando immensamente la
pressione sul lavoro in cambio di un consumo finanziarizzato reale o atteso
[22]. Allo stesso tempo, questa modalità ha spinto all'estremo il meccanismo
attraverso il quale la la moneta di
credito creata nei mercati finanziari era capace di ricominciare il
ciclo di riproduzione del capitale con continue anticipazioni sul futuro
valore. Il “diventare rendita” del profitto è inestricabilmente intrecciato con
il “diventare profitto” della finanza.
Oggi questo processo sembra essere
arrivato alla fine, o almeno ad un serio ostacolo. Confrontato con l'immenso
gap che la separa dal valore reale accumulato e con molte forme di resistenza
sociale [23], la moneta si è trasformata in debito insolvente: capitale
fittizio con un insufficiente base reale, il volto perverso di una produttività senza precedenti nella
cooperazione sociale, ma intrappolata all'interno delle restrizioni del tempo
di lavoro e del profitto. Da questi flussi deriva l'apparente assurdità del
bisogno di distruggere capitale, sulla carta o fisicamente, vivo o morto, di
ricostruire il margine di profitto e di eliminare il debito. Questo problema
rimane tanto più urgente dopo l'incredibile iniezione di liquidità con la quale
il “Keynesismo finanziario di emergenza” (Robert Kurz) ha evitato il collasso
del sistema finanziario, ma non ha avviato la ripresa produttiva, aprendo così
le porte alla speculazione verso vari stati.
Il processo di svalutazione è già in
corso, ed è più avanzato negli Stati Uniti – la monetizzazione delle banche e
la chiusura di alcune, la svalutazione dei fondi pensione, bancarotte
individuali, il collasso dei prezzi delle abitazioni, la chiusura di fabbriche-
dove i costi possono più facilmente essere scaricati sul mercato interno –
ovviamente entro certi limiti e a rischio di esplosione sociale – e, per le
ragioni che abbiamo visto, scaricate all'esterno attraverso il meccanismo di
ripagare debito con moneta. [24] Nel frattempo il processo è a malapena
iniziato in Europa; non sarà indolore o equamente diviso. La questione è chi
sarà costretto a bruciare una parte maggiore del proprio capitale, estinguendo
debiti inesigibili; chi sarà a perdere parte del proprio sistema produttivo e
bancario; chi rinuncerà ai corrispondenti diritti di pegno sui flussi di
valore, e chi consegnerà ad altri i risparmi della popolazione. È inevitabile
che si stia aprendo un ulteriore terreno per uno scontro, e tanto più se c'è
una diretta liquidazione dei debiti pubblici con una strategia di default
dall'alto [25]. Questo si aggiunge, per l'occidente ,alle crescenti
difficoltà di o scaricare il fardello sul resto del mondo oppure di andare
avanti con la svalutazione in un quadro pressato dalla finanza internazionale.
Contestualmente, come a provare che la finanza è “reale”, sono tremendamente
aumentate le pressioni non soltanto a sacrificare il welfare, i servizi e altri
settori al “mad money” , ma anche a “liberare” il lavoro da ogni
possibile limite per i profitti, come stanno facendo i nuovi governi di Spagna
e Italia con misure di ristrutturazione del mercato del lavoro e della
dimensione dei sussidi. E poi abbiamo la ricetta della...crescita, dopo
il consolidamento fiscale. Mentre mr. Obama e Frau Merkel non si trovano
d'accordo sulla questione di quanta liquidità bisogni iniettare nel sistema,
sono d'accordo sulla strategia della “crescita” basata su una chiara ripresa
della produttività del lavoro. Ma bisogna stare attenti: anche a questo
livello, c'è già uno scontro in corso centrato sulla strategia USA di ri-localizzazione
[26] di industrie precedentemente de-localizzate in Cina a in Messico,
quando le condizioni della forza lavoro negli Stati Uniti si saranno
deteriorate abbastanza perché l'operazione sia redditizia. Quindi: lo scontro
sulla spartizione delle perdite è anche uno scontro sulle diverse strategie per
uscire dalla crisi in relazione a possibili nuovi assetti globali e di classe
Geopolitica della Crisi
La distribuzione
dei costi dell'economia del debito è una guerra singolare, una di quelle che
non cancellano ma piuttosto accentuano in particolare cambiamenti diplomatici,
militari e geopolitici. Questi cambiamenti sono spesso un ulteriore
elemento rimosso dal dibattito.
Nonostante tutto, qualcosa sta accadendo; basti solo pensare al dirottamento di
Obama della primavera Araba, o all'intervento in Libia (e in Siria?),[27] o
all'energico cambio di indirizzo di Washington (“pivot strategy) nell'Asia
orientale. Tutto questo mentre Cina e Giappone firmano un accordo ai fini di
abbandonare il dollaro per le loro transazioni commerciali e la Germania, la quale si è
opposta all'avventura libica, guarda verso est.
Non è possibile
affrontare qui questo tema, che deve essere visto come parte integrante delle
dinamiche della crisi globale. Dovremmo, tuttavia, almeno ricordare,
riguardante la discussione sul presunto declino degli Stati Uniti, l'abilità
degli Stati Uniti, zoppicante ma non del tutto scomparsa, nell'auto-eleggersi
custode dell'ordine dell'intero sistema capitalista, senza alcun sostituto
credibile in vista. Questo vantaggio datogli dalla sua posizione sistemica,
basata su un'ancora ineguagliato apparato cognitivo-militare e sulla sua
connessone “dialettica” con la finanza globale, permette a Washington di fare
quello che il suo indebitamento impedirebbe a qualunque altra potenza.
Certamente, l'ordine mondiale è divenuto fluido e la risposta degli
Stati Uniti è di reazione, e non effettiva Grande Strategia. Ma questo,
piuttosto che indicare una successione egemonica di un altro potere in ascesa,
[28] dovrebbe forse essere visto nella possibile frammentazione del sistema
internazionale. Questo porta ad una situazione ibrida tra una configurazione
imperiale, con dinamiche sussunte ad una gerarchia insieme polimorfa ma in
ultima istanza unitaria, ed una dinamica imperialista, dove la competizione
riemerge con forza contro la cooperazione inter-capitalista.
Le successive fasi
della crisi potrebbero portare luce sulla problematica: il mondo è diretto
verso la costruzione di una posizione di spicco alternativa agli Stati Uniti? O
è diretta verso una riorganizzazione dell'Occidente attorno alla prospettiva
tracciata da Obama, di una distruzione originale del Medio Oriente e di un
“co-engagement” con la Cina?
O, invece, durerà il duopolio Cino-americano, e quanto a lungo? La questione
Iraniana e quella Siriana offrirà alcune indicazioni riguardo a dove si andrà a
finire.
Il quadro
generale fornisce almeno tre grandi questioni politiche. Come può uno prendere
una posizione autonoma contro le politiche europee di macello sociale senza
cadere nella nazionalistica nostalgia anti-Tedesca o nella retorica contro “la
speculazione anglosassone”? Come possiamo mettere insieme le lotte per i
diritti, il lavoro e la vita con un lotta costitutiva slla questione del
debito, evitando qualsiasi ricorso a soluzioni “dall'alto” per il rischio di
default? Infine, ed è strettamente correlata, come possiamo superarela falsa
alternativa tra la politica di austerity da una parte e il “keynesismo
finanziario” dall'altra (tra la
Merkel e Obama, per dirla senza mezzi termini), tenendo
conto, nell'ambito dell'integrazione irreversibile degli stati all'interno del
nuovo capitale finanziario e la profonda trasformazione della composizione di
classe, dell'eclissi di un possibile utilizzo antagonista della spesa statale?
E quindi: qual è il programma per il movimento reale?
Raffaele
Sciortino
Note:
1.Vedere il mio “Frau Merkel e la finanza”
(ora diponibiile in Obama nella crisi globale, Trtieste, 2010) e Eurocrisi,
eurobond e lotta sul debito (Trieste, 2011) come anche in N. Casale,
“Alimentare la bolla o sgonfiarla?”, dicembre 2011. Ovviamente, per un'analisi
completa dello schiudersi della crisi, è necessario aggiungere altri elementi
fondamentali, a partire dagli sviluppi in Cina e il suo doppio legame cn gli
USA
2.Per un versione di questo vedere in
marticolare la sinistra Keynesiana, “la decisione su quanto succederà..è stata
rubata dal potere della Germania...pert la terza volta in un secolo”, secondo
il quotidiano italiano di sinistra Il Manifesto, 27 novembre 2011, che tempo
dopo continuava elogiando le “valide analisi portate avanti da Standard and
POOr, il FMI, George Soros e il Financial Time contro le politiche di austerità
di Berlino, 27 gennaio 2012
3.Sono le banche italiane e spagnole ad
avere usufruito maggiormente della linea di credito della BCE
4.“carry trade” significa prendere a
prestito in una valuta ad un tasso di interesse molto basso (per esempio, lo
Yen giapponese all'1%) e investirlo in qualche altro posto in un'altra valuta
con un maggior tasso di rendimento (per esempio azioni brasiliane in real). Questo
significa “soldi gratis” a meno che lo yan non aumenti improvvisamente di
valore allo scadere del prestito.
5.Cfr, tra altri, il World Economic
Outlook for January, il
rapporto di P.Boone e S. Johnson, e dall'Istituto Petersono, anche questo di
gennaio, e sulla debolezza dell'economia USA. La questione della Cina è più
complicata e non può essere affrontata in questa sede.
6.Vedere il mio “Fine del change? Linee di faglia
negli Stati Uniti,” Novembre 2010.
7.parlo di calcolo per via della
concentrazione ologopolistica nei “mercati finanziar”, correntemente trattati
nella letterature e nei recenti studi di Vitali, Glattfelder, Battiston, in “The Network of
Global Corporate Control.
8.A Soros non è piaciuta l'operazione di
Draghi in dicembre
10.Come nel duo italiano Napolitano-Monti.
Questo è stato confermato dal viaggio di Monti a Washington a dalla letera firmata
dal governo italiano, insieme a quello
inglese, per un “rafforzamento del mercato unico” l'incontro del G8
previsto in maggio porterà avanti questo “accerchiamento” della Merkel, in
particolare dopo la sconfitta elettorale di Sarkozy nelle elezioni
presidenziali francesi
11.“Why Europe stocks
are too cheap to ignore.” un esempio è l'operazione
Chrysler-Fiat: chi ha comprato chi?
12.“La crisi europe non è finita finche la Firs Lady non paga, e la First Lady d'Europa,
Angela Merkel, non può pagar abbastanza. Ha bisogno di costruire firewaal
grandi abbastanza perchè li membri più deboli dell'UE non fronteggino, di
nuovo, il disastro finanziario. Questo non succederà – il che significa che
l'euro ha di fronte se va bene delle defezioni, e forse la distruzione!” “For Europe, it
doesn’t get better,” Reuters, Aprile, 4, 2012
13.Come le misure di ricapitalizzazione
della European Bank Authority (EBA)in un momento particolarmente critico per le
banche del continente
14.per capire il tono usato dalla stampa
britannica, cfr. Ambrose Evans-Pritchard, “America and China
must crush Germany into submission,” the Telegraph,
Novembre 9, 2011
16.Un fattore essenziale per la rottura
con Londra, vedere“Europe’s great
divorce,” Economist, dicembrer 9, 2011.
17.Le lotte in Grecia sono state il
fattore che, dal basso, hanno contribuito alla ristrutturazione del debito
greco ma, dato il loro isolamento, non sono state finora in gardo di impedire
le condizioni tremende che la torika ha imposto
18.16.000 miliardi di dollari tar dicembre
2007 e giugno 2010, secondo le più recenti statistiche ufficiali del governo
USA. Secondo alter fonti, 29.000 miliardi
19.Chesnais, un esponente dei teorici
francesi della “mondializzazione”, coglie la differenza sostanziale tra l'euro
e il dollaro e parla di “incmpletezza dell'euro”, ma non riesce ad andare molto
oltre per via dello schema Keynesiano che usa: Les dettes
illégitimes. Quand les banques font main basse sur
les politiques publiques, Raison d’agir, Paris 2011.
20.I
“falchi” tedeschi ne sono consapevoli, ma per ora la questione non è emersa nel
dibattito pubblico tedesco: vedere l'intervista con Hans-Werner Sinn in “Wir sitzen in der
Falle,” Frankfurter Allgemeine Zeitung,
febbraio 18, 2012
21.R. Sciortino, Un passaggio oltre
il bipolarism: Il rapprochement sino-americano 1969–72,
Bologna 2012.
22.C.
Marazzi, E il denaro va:
Esodo e rivoluzione dei mercati finanziari, Torino 1998,
p. 171, nota a piè di pagina: “ con lo sviluppo del capitale su scala globale,
la funzione della moneta come mezzo di pagamento creato dal nulla assume
un'importanza crescente... e prende la forma della comunità”. Il tema del
capitale come la vera (cattiva) comunità è già emerso negli anni '60,
all'interno della sinistra comunista, nelle riflessioni di Jaques Camatte
24. Per dati più attuali, vedere
McKinsey, “Debt and deleveraging: Uneven progress on the path to
growth,” gennaio 2012
26.questo è collegato alle pressioni USA
per una rivalutazione dello yuoan/renminbi e per una maggiore apertura del
mercato interno cinese, anche attraverso aumenti dei salari (!)
27.Vedere il mio “Disinnescare la
sollevazione,” February 2011, e “Obama dopo Osama,”
May 2011, online.
28.L'anomalia era già stata notata da
Giovanni Arrighi
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