La teoria della Comunizzazione
e l’abolizione della forma-valore
Una teoria della forma-valore come base per la comprensione della
logica del capitale, della sua traiettoria storica, e delle sue contraddizioni,
è strettamente collegata con una teoria della comunizzazione. La comunizzazione
è inseparabile dall'abolizione della forma-valore e del capitale come valore
che si valorizza, e della sua Akkumulationszwang,
la sua pulsione ad accumulare. La comunizzazione implica l'abolizione del
proletariato, la classe dei salariati, il cui lavoro astratto è la fonte del
valore. Il socialismo o il comunismo non sono l'auto-affermazione del
proletariato o del potere dei lavoratori e la creazione di una repubblica del
lavoro. Lo sviluppo della teoria della forma lavoro, basata in buona parte
sulle pubblicazioni di tutti i manoscritti che Marx ha messo insieme per la sua
critica all'economia politica, un'impresa che è stata completata solo negli
ultimi decenni, ha anche modificato la comprensione del socialismo e del comunismo
che si è avuta tra la Seconda
e la Terza
Internazionale, come anche nella sinistra comunista storica
(sia la sinistra tedesco-olandese che quella italiana, la sinistra consigliare
e la tradizione bordighista)
Il cammino verso una teoria della comunizzazione nella quale il
valore e il proletariato vengono aboliti è iniziato con La critica al
programma di Gotha (1875) di Marx, nella quale venivano sottoposte ad una
critica fulminante le basi teoriche per la formazione di un partito unificato
Socialdemocratico in Germania, e nella quale Marx ha delineato per la prima
volta la sua concezione di uno stadio più avanzato e meno avanzato del
comunismo. Per Marx, nello stadio meno avanzato del comunismo, “giusto come
emerge dalla società capitalista”, ancora impresso delle sue strutture e forme
sociali, “il produttore individuale riceve dalla società...esattamente quello
che le ha dato”[1]. In breve il lavoratore, dopo le deduzioni per i fondi
sociali e l'espansione delle forza produttive, riceve il pieno valore
del proprio lavoro. “Chiaramente qui opera lo stesso principio che regola lo
scambio di beni finché si tratta di uno scambio tra equivalenti. ...un certo
ammontare di lavoro in una forma viene scambiato per un pari ammontare in
un'altra.[2]” Per Marx allora la forma valore regolerà nello stadio meno
avanzato del comunismo sia la produzione che la distribuzione, e solo nel suo
stadio più avanzato “la società può (potrà) superare completamente il ristretto
orizzonte del diritto borghese ed iscrivere nella sua bandiera: Da ognuno
secondo le proprie capacità, ad ognuno secondo le proprie necessità!”. La
comunizzazione allora, intesa come abolizione della forma-valore, sarebbe
preceduta da uno stadio post-capitalista nel quale la legge del valore regolerà
ancora produzione e consumo. Per quanto radicale, agli occhi di molti
socialisti la ricetta di Marx è stata scritta nel 1875, mentre oggi, in un
mondo capitalista dove la riproduzione del proletariato è minacciata dai
rapporti sociali capitalisti, e dalla stessa esistenza della forma-valore, una
visione del genere è completamente inadeguata.
Mentre Marx non ha specificato la forma precisa in cui il il tempo
di lavoro avrebbe determinato la produzione e la distribuzione nello stadio
meno avanzato del capitalismo, l'onda rivoluzionaria scatenata nel 1917 ha portato
all'ostinazione dei Boscevichi che la dittatura del proletariato, qualunque
fosse la sua forma specifica, sarebbe stata basata anch'essa sul lavoro
salariato; che la distribuzione dei prodotti alla classe lavoratrice sarebbe
stata effettuata attraverso un salario e del denaro. È qui che nasce un
dibattito all'interno della sinistr comunista storica (diverso dal dibattito
sulla questione del partito o dei consigli dei lavoratori come organo della dittature
del proletariato), un dibattito in cui Amedeo Bordiga insisteva – in polemica
con Lenin e Trotsky – che mantenere l'esistenza di salari e moneta era una
minaccia mortale per il proletariato, e che avrebbe riprodotto relazioni
sociali capitalistiche. Due documenti importanti della sinistra comunista
storica nel periodo 1930-1970
affrontavano la questione della forma-valore e della produzione e
distribuzione comunista: I principi fondamentali della produzione e della
distribuzione comunista, un testo collettivo del GIK (la sinistra
tedesco-olandese) pubblicato nel 1930, con un importante “introduzione” di Paul
Mattick nella sua ripubblicazione nel 1970, e Capitale e Comunità di
Jaques Camatte, scritto negli strascichi del '68, all'interno dell'orbita politica
della sinistra italiana (Bordighismo).[4]
I principi fondamentali proponeva l'idea che la produzione e la distribuzione
comunista sarebbe stata basata sulla contabilità del tempo di lavoro (il tempo
medio socialmente necessario di lavoro), con la distribuzione dei prodotti ai
lavoratori – la cui condizione proletaria sarebbe stata universalizzata-
effettuata attraverso un sistema di “vouchers di lavoro” ( Empfangsscheinen o bons de
travail), basato strettamente sulle ore di lavoro effettuate. A differenza
che nel funzionamento normale del sistema capitalista, dove è il mercato ad
allocare il lavoro e determinare il valore attraverso lo scambio post festum,
nella produzione e distribuzione
comunista questa determinazione potrebbe essere determinata razionalmente
attraverso il tempo di lavoro come misura del valore senza l'intermediazione
dello scambio. Questo, allora, era un sistema, come riconosce Mattick nella sua
introduzione, “nel quale il principio dello scambio di equivalenti prevale
ancora”[5] nel quale la forma valore forma ancora l'essere sociale, nel quale,
come Marx riconosce nella sua Critica al programma di Gotha, “il diritto
egualitario [equal right] soffre
ancora costantemente di limitazioni borghesi”,[6] e il lavoro (labor, travail, Arbeit) stesso rimane
lavoro proletario. Mattick, tuttavia, giudica che il testo di GIK sia superato
in certi aspetti, superato dalla stessa traiettoria del capitale, dal
prodigioso sviluppo delle forze produttive tra il 1930 e il 1970, attraverso il
quale beni e servizi potrebbero essere prodotti in una tale abbondanza che
“ogni calcolo della quota individuale del tempo di lavoro medio socialmente
necessario diventerebbe superfluo” [7], e l'umanità potrebbe procedere
direttamente verso quello che Marx ha chiamato lo stadio più avanzato del
comunismo [8]
Camatte segue Marx nel distinguere tra uno stadio meno avanzato,
il socialismo, e uno stadio più avanzato del comunismo, e insiste che “il
comunismo non si può realizzare da un giorno all'altro,”[9] una posizione
basata sulla tesi di Bordiga che ci siano tre stadi post-capitalistici: la
dittature del proletariato, lo stadio del socialismo, e il comunismo. Per
Camatte, la valorizzazione del valore deve cessare immediatamente, cosa che,
dice, è il compito della dittatura del proletariato, ciononostante è
consapevole che ognuno deve lavorare (“colui che non lavora non mangia”), che
la condizione del proletario deve essere universalizzata, che l'esistenza
umana, che nel capitalismo era mediata dal capitale, “ora è mediata dal lavoro [work]”.[10]. Inoltre Camatte è
consapevole che un'”economia del tempo” continuerà a regolare quello che è
diventato produzione comune; che tutto il lavoro sarà ridotto a lavoro astratto
[labor],[11] e che tale lavoro
manterrà la forma di lavoro salariato sotto la dittatura del
proletariato, tuttavia “.. la base del fenomeno non è la stessa. In una società
capitalista, il lavoro salariato è un modo per evitare di restituire l'intero
prodotto all'individuo che l'ha prodotto. Nella fase transitoria, il lavoro
salariato è conseguenza del fatto che non è possibile distruggere l'economia di
mercato da un giorno all'altro.”[12] Nello stadio meno avanzato del socialismo
viene cancellato il carattere di merce del lavoro, e la quota del lavoratore della
ricchezza che ha creato è distribuita attraverso vouchers di lavoro basati sul
tempo di lavoro speso dal lavoratore, dal lavoro astratto, misurato come tempo
di lavoro medio socialmente necessario.
A questo stadio, come spiega Camatte, “..dobbiamo ancora avere a
che fare con valori e il tempo di lavoro definirà sempre questi valori. Ma
poiché l'obiettivo non è più di aumentare il tempo di lavoro, significa che il
tempo di lavoro non deve più apparire sotto il velo del valore per assumere una
funzione sociale; afferma il proprio ruolo immediatamente.”[13] Ma la rimozione
del tradizionale velo capitalista non elimina la forma-valore, o
l'assoggettamento del genere umano alle sue leggi di movimento. Infatti la
riduzione stessa di tutto il lavoro in lavoro astratto, la stessa
universalizzazione della condizione proletaria e dei suoi modi di lavoro, crea
il rischio del perpetuamento del capitale e delle sue relazioni sociali.
Inoltre, questa possibilità non viene esclusa dall'insistenza di Camatte sul
fatto che i vouchers di lavoro che
lavoratori scambieranno in cambio di beni e servizi non possono essere
accumulati, sono “validi per un limitato periodo di tempo e sono perduti alla
fine di questo periodo se non vengono consumati,”[14] prevenendo in questo modo
la rinascita del capitalismo. La questione non è quella della rinascita del
capitalismo, quanto quella della sua continuata esistenza attraverso il fatto
che il valore viene determinato dal tempo di lavoro, e lavoro astratto, sulla
base del quale il capitalismo non è mai stato abolito. Per Camatte è solo allo
stadio più avanzato del comunismo di Marx che: “tutte le forme di valore sono
quindi seppellite; allora il lavoro non ha più una forma determinata [lavoro
astratto?], non c'è più alienazione
La questione sollevata dalla teoria della comunizzazione come si è
sviluppata negli scorsi decenni è se l'immaginario sociale di un periodo di
transizione, di uno stadio più o meno avanzato del comunismo, non sia diventato
– a questo stadio storico del capitalismo – un ulteriore ostacolo alla
rivoluzione comunista, alla comunizzazione
La teoria della comunizzazione, come è stata articolata dai
rivoluzionari negli ultimi decenni può forse essere riassunto nei seguenti
termini, in un saggio di Bruno Astarian:
Comunizzazione non significa che il comunismo sarà stabilito
agitando una bacchetta magica. Sarà stabilito attraverso un processo di lotta,
con avanzamenti e ritirate della rivoluzione. Questo significa che azioni prese
dai rivoluzionari mireranno all'abolizione del lavoro e del valore...qui e ora.
Quando la rivoluzione attacca la proprietà capitalista, non lo fa con lo scopo
di dare al proletario le proprietà che non possedeva prima, ma allo scopo di
porre fine a tutte le forme di proprietà immediatamente [17]
In breve, la forma-valore, e il lavoro [travail, Arbeit]
collegato ad esso, deve essere abolito dalla rivoluzione, non come culmine di
un periodo di transizione, come ha sostenuto la sinistra comunista storica.
Inoltre, mentre la comunizzazione è l'obiettivo immediato della
rivoluzione, Astarian sottolinea che: “non dobbiamo confondere immediatezza con
istantaneità. Quando diciamo immediatezza del comunismo, diciamo che
l'obiettivo della rivoluzione proletaria non consiste più nella creazione di
una società di transizione, ma nello stabilire direttamente il comunismo.”[18]
Per Perspective Internationaliste quello che è fondamentale non è il contenuto
specifico del lavoro [work] o
dell'attività che deve essere immediatamente trasformato, per esempio il cibo,
o le case, o le medicine dovranno essere prodotte. Quello che deve essere
immediatamente abolito è la riduzione di questa attività in lavoro astratto,
e la sua misura attraverso il tempo di lavoro socialmente necessario, che è il
modo storicamente specifico in cui è esistito in una società capitalista. E
che, ovviamente, implica l'abolizione di un modo di distribuzione di beni e
servizi attraverso il tempo di lavoro, attraverso una forma di salario [le
salariat] o anche di vouchers di lavoro. È nel corso stesso dell'agitazione
rivoluzionaria, allora, e non alla fine di un periodo di transizione, che
avviene la comunizzazione. Come RS [Roland Simon] insiste in SIC1: “la
rivoluzione è la comunizzazione; non ha il comunismo come un progetto o un
risultato, ma come il suo contenuto stesso.” [19]
Infatti nella rivoluzione stessa deve avvenire l'abolizione non
solo di capitale e lavoro, ma anche del proletariato stesso. BL la mette in
questo modo in SIC1: “ in questa lotta, l'appropriazione dei mezzi materiali di
produzione non può essere separata dalla trasformazione dei proletari in
individui immediatamente sociali; fare uno significa fare l'altro, e questa
identità è portata dalle forme presenti delle contraddizioni tra capitale e
proletariato.”[20] Non è, quindi, una qualche variazione di un pensiero
utopista che ha portato PI a vedere la comunizzazione come integrante
dell'agitazione rivoluzionaria stessa, ma piuttosto la logica del capitale, la
sua specifica direzione storica, e la natura della crisi del capitalismo nella
attuale congiuntura storica: l'impossibilità della riproduzione della
condizione proletaria da parte del capitale a meno di massicce espulsioni di
lavoro proletario dall'economia, la creazione di un grande pianeta di
baraccopoli, e l'incombente catastrofe climatica, tutte cose connesse con la
perpetrazione della forma lavoro. Sono queste stesse condizioni storiche e
materiali reali che hanno reso la comunizzazione l'obiettivo immediato della
rivoluzione oggi.
Ma e cosa ne è dell'abolizione dell'attività lavorativa [work], che è parte integrante della
maggior parte delle teorie della comunizzazione? Il lavoro [work], come lavoro proletario, lavoro
come lavoro astratto, lavoro come è stato storicamente sviluppato e mostrato
dal capitalismo, deve essere abolito. Il lavoro [work] nella sua forma storica, e le relazioni sociali
capitalistiche nelle quali la produzione e la distribuzione sono basate sul
tempo di lavoro medio socialmente necessario, in tutte le sue forme, deve
essere immediatamente abolito. Ma l'anti-travail [anti-lavoro,
anti-labor] deve essere accompagnato da una visione dell'attività umana, praxis,
che comprende il settore della produzione, liberato dai suoi rivestimenti
storici (incluse quelle capitalistiche). Questo testo non è il luogo nemmeno
per iniziare un'elaborazione di questo compito teorico, ma i suoi tratti
generali devono essere almeno indicati. La comunizzazione non è la cessazione
della produzione. Proprio il contrario! È l'inizio della auto-produzione di
esseri umani, dell'auto-produzione delle relazioni sociali comuniste. L'azione
umana non è stata limitata al lavoro [labor],
travail, Arbeit sotto la coercizione dello sfruttamento e delle
relazioni di classe. C'è una distinzione, allora, tra techné, poiésis, attività
lavorativa [work] e lavoro [labor], tra il lavoro [labor] dello schiavo, del servo, del
proletario, e l'attività lavorativa [work]
[oeuvre, Werkle] dell'individuo sociale. Sono precisamente questo insieme di differenze,
tra lavoro [labor] e attività
lavorativa [work] e le
possibilità di essere create attraverso al comunizzazione, che i rivoluzionari
devono iniziare ad esplorare: produzione, work, beyond labor
Mac Intosh, 2012
Una versione
estesa di questo articolo comparirà nel prossimo numero di Perspective Internationaliste internationalist-perspective.org/
Note
[1] Marx,
Critique of the Gotha Programme in
Karl Marx, The First International and
After (Penguin Books), p. 346.
[3] Ibid., p. 347.
[4] Mentre il testo di Camatte è in gran parte dedicato alla traiettoria della forma valore
basata su una lettura dei manoscritti
inediti di Marx (i Grundrisse, e "I risultati del processo immediato di produzione"), il
capitolo dedicato al "comunismo e le fasi intermedie tra il capitalismo e il comunismo ", come
il testo The Fundamental
Principles of Communist Production and Distribution della GIK, appunti sul tema della communizzazione. Camatte ha trattamento di questo
problema basandosi proprio sui
testi di Mitchell (Jehan) in Bilan nel 1930, e
soprattutto sui testi di Bordiga
a partire dalla fine del 1940 e
dirante gli anni 60.
[8] Il quadro di Mattick di
questa abbondanza sembra troppo ottimista oggi, soprattutto alla luce di decenni di "sviluppo" in gran parte basato
sulla crescita del capitale fittizio e bolle finanziarie, mentre la riproduzione del proletariato è stata violentemente minacciata,
e sempre più grandi masse di lavoratori vengono
permanentemente espulsi dal processo di produzione. Mentre queste domande sono, infatti,
importanti, esse non precludono una visione della rivoluzione in cui la comunizzazione, intesa come l'abolizione della forma valore e del lavoro proletario a
cui è aggiogata, non può essere
rimandata fino ad uno stadio superiore
o al completamento di un periodo
di transizione.
[16] Una domanda che sembra essere
un diversivo, anche se molto inchiostro e carta è stato sono stati utilizzati per
discuterne nell’ambiente nella pro-rivoluzionario,
è quando la comunizzazione, a differenza di un periodo di transizione, è diventata una possibilità
storica per il proletariato. Era
possibile la communizzazione nel 1789,
nel 1848, nel 1871, nel 1917, nel 1936, ecc?
La comunizzazione non si è verificata allora,
e mentre possiamo discutere perché non lo ha fatto, il compito oggi è quello di confrontarsi con la necessità storica della comunizzazione nell'epoca presente, ed
i pericoli che affronta il
lavoratore collettivo in un mondo
capitalista che sopravvive nella
sua crisi attuale.
Nessun commento:
Posta un commento