lunedì 23 aprile 2012

Proletari di tutti i paesi dall’indignazione alla rivolta


Proletari di tutti i paesi dall’indignazione alla rivolta
da Perspective Internationalist
n.56, 2012

Il periodo attuale è caratterizzato da un accentuazione del confronto tra il funzionamento economico e politico imposto dal MPC (modo di produzione capitalista) e le reazioni di protesta e di opposizione a questo  funzionamento.

Dal 2008, la crisi economica ha avuto un approfondimento molto chiaro, rivelando sempre di più i meccanismi e le prospettive distruttive globali del capitalismo mondiale. Le contraddizioni interne al sistema non cessano di produrre i loro effetti e adesso parti intere degli Stati si stanno sgretolando. Questa situazione è senza precedenti. Questa è la fine dell'illusione del "welfare state" e il dominio dell’attacco brutale e generalizzato attraverso piani di austerità.
Per Perspective Internationalist (PI), non esiste un nesso automatico tra gli effetti della crisi economica e lo sviluppo della lotta tra lo sviluppo della lotta e lo sviluppo della coscienza di classe.
Tuttavia, l'accentuazione della crisi globale ha causato una accentuazione dei movimenti di protesta. Questo conferma quanto abbiamo sottolineato in diversi recenti numeri di PI: il fatto che questa situazione di tensione mette in discussione le questioni storiche generali, cioè il futuro del capitalismo, le prospettive per la sopravvivenza del pianeta e dell'umanità, le prospettive economiche e politiche globali in questo mondo dominato sempre più apertamente dalle violenze di ogni genere.
Le opposizioni alle manifestazioni della crisi, la messa in discussione del funzionamento del sistema si esprimono attraverso scioperi e manifestazioni, ma anche in forme nuove e per questo possiamo pensare ai movimenti che hanno animato la "primavera araba", il movimento degli "Indignati" e il movimento "Occupy".

Tenuto conto di questa diversità delle espressioni, dobbiamo porci due domande. La prima sulla natura di classe di queste reazioni: si tratta di reazioni proletarie?; e la seconda sul potenziale contenuto in queste espressioni diverse. E le due questioni non sono necessariamente correlate, questo riflette la complessità della situazione attuale. Così, le trasformazioni di cui dobbiamo tener conto, nel valutare i movimenti di opposizione, è la ricomposizione del proletariato e l'esistenza di masse di esclusi “definitivi” dal sistema. L’abbiamo già sottolineato, il proletariato di oggi ha visto i suoi contorni e la sua composizione rimodellate dall’evoluzione del MPC. Da un lato, elementi ex appartenenti alle cosiddette "classi medie" si sono ritrovati proletarizzati, e dall'altra, gli esclusi non costituiscono più l'esercito di riserva dei disoccupati che saranno reintegrati nel circuito del lavoro, ma esistono ormai come massa marginalizzata, vivono spesso in una specie di economia parallela. Tenuto conto di questa diversità e di questa complessità di composizione del proletariato e quindi, delle espressioni di opposizione e di protesta, dobbiamo porci la questione della natura di classe in modo diverso rispetto al passato. Prima, i movimenti di classe erano quelli dei "colletti blu" e tendevamo a utilizzare criteri specifici per definire la natura di classe di un movimento. Il movimento era auto-organizzato, al di fuori dei sindacati, ecc.
Oggi, le molte forme di organizzazione del lavoro, la composizione eterogenea del proletariato devono porre la questione della natura di classe in termini di dinamica dei movimenti di opposizione.

Queste domande sulla ricomposizione del proletariato, sulle "nuove forme di lotta", sulla dinamica come criterio di comprensione dovrebbero trovare un posto di rilievo nelle discussioni all'interno del milieu rivoluzionario. La domanda torna regolarmente sul tappeto: attraverso i movimenti dei giovani delle periferie, i tumulti per la fame in Africa, i saccheggi londinesi di questa estate. C'è un problema reale di comprensione per i rivoluzionari. Perché dopo la questione di come capire i movimenti viene quella di che cosa dobbiamo sostenere o di che cosa dobbiamo condannare?
La prima espressione di resistenza agli effetti della crisi è stata costituita dai movimenti di sciopero e dalle manifestazioni proletarie sul luogo di produzione. Sono movimenti che interessano tutti i continenti, reazioni contro i bassi salari, la perdita dell’occupazione, il costo della vita, la mancanza di abitazioni, ecc. In breve, movimenti di risposta allo sfruttamento capitalista.

Si deve rilevare la consistenza dei movimenti che avvengono in Cina. Da un lato, questi movimenti sono quasi permanenti, spesso molto violenti, di massa e hanno messo in dubbio alcuni aspetti dello sfruttamento capitalista. Così, la classe dominante cinese è stata costretta a rivalutare i salari globali e ad alleggerire un po’ l'enorme pressione esercitata sui lavoratori.
Ciò è estremamente importante non tanto per i lavoratori stessi ma per i capitalisti. Sappiamo che la crescita incontrollata dell'economia cinese è prevalentemente legata a bassi salari e al grande numero di ore di lavoro settimanali. Gli incessanti movimenti di classe così come l’alleggerimento della pressione diretta sul proletariato hanno un impatto negativo diretto sui profitti delle imprese in Cina, e quindi, sul paese che rappresenta il motore per l'economia globalizzata. Un altro aspetto è la presa di fiducia nella forza collettiva che questi piccoli risultati danno al proletariato cinese.

D'altra parte, numerosi scioperi e proteste si sono prodotti in vari paesi europei in reazione ai drastici piani di austerità che gli Stati sono obbligati ad attuare per cercare di arginare la crisi del debito e il rischio di fallimento. Qui, ciò che è nuovo è la prospettiva: mentre fino a poco tempo fa, si parlava ancora dello "stato sociale" e i conflitti sociali opponevano i lavoratori ai padroni, i conflitti che si hanno oggi oppongono i lavoratori al loro Stato o anche alla politica globale europea. E anche se questi movimenti sono portatori di illusioni o con "un altra gestione" o con l’uscita dalla zona dell'euro, si inscrivono comunque in una dinamica molto più generalizzata e quindi, potenzialmente più unificante. Vi è anche una potenziale perdita di illusioni rispetto al sistema capitalista stesso: le "perle" dell'economia globale, i fiori del "ricco” mondo economico sono a rischio di esaurimento e sono di fronte agli stessi problemi degli Stati dei paesi "emergenti". L'economia statunitense è in difficoltà, gli Stati europei non possono rimborsare i propri debiti e sono sull'orlo del fallimento... Triste immagine del capitalismo!
È all'interno di questo contesto di piani di austerità che sono apparsi sulla scena della contestazione, i “giovani”... Giovani proletari, giovani studenti, giovani greci, francesi o londinesi, quelli che dicevamo cresciuti nell’egoismo individuale e nell’immediatezza, si battono ora con le armi dei loro genitori, in modo collettivo, a volte con attenzione per l'auto-organizzazione, contro le misure che attaccano il loro quotidiano, ma anche, in modo generale, il loro futuro in questa società. È chiaro che ciò contribuisce in modo molto significativo alla messa in discussione globale e della prospettiva che offre il sistema attuale e rappresenta quindi un potenziale in rapporto allo sviluppo della coscienza politica. Inoltre, abbiamo sottolineato a sufficienza il concetto di esperienza di lotta e delle tracce che lascia questa esperienza. Abbiamo spesso sottolineato la frattura storica che esiste tra la tradizione della lotta della " vecchia classe operaia " e il proletariato ricomposto di oggi.
I movimenti di rivolta della generazione del futuro rappresentano anche un possibile legame tra forme di organizzazione 'classica' (assemblee generali, la riscoperta degli scritti politici) e le "nuove forme di lotta" con l'uso di moderne tecnologie e nuove forme di organizzazione del lavoro.

Le rivolte per la fame e i saccheggi sono frequenti. Questa forma di rottura sociale merita una certa attenzione. Da un lato, si svilupperà in futuro con la crescita dellimpoverimento e con l’esistenza di masse di esclusi permanenti dal sistema produttivo. Da l'altro, solleva la questione della valorizzazione del suo contenuto ogni volta (ogni saccheggio è diverso dall’altro) così come i possibili legami con i movimenti di classe. Anche qui, sembra che la dinamica interna al movimento costituisca un elemento fondamentale per valutare il movimento stesso. Così, movimenti che si legano ad altre parti del proletariato non sono espressioni proletarie. I saccheggi che hanno avuto luogo a Londra questa estate hanno visto questo tipo di azioni violente dirette contro la classe. E citando Merleau-Ponty, Le avventure della dialettica: "Quando diciamo che il fine giustifica i mezzi, risulta per noi che il gran fine rivoluzionario respinge con i suoi mezzi i processi e i metodi indegni utilizzati da una parte della classe lavoratrice contro l'altra (...) » (...)" Ogni atto rivoluzionario non è efficace solo per ciò che fa, ma per ciò a cui fa pensare ".

Non si può parlare di agitazione sociale senza tornare brevemente sui movimenti della "Primavera araba". Non per riprendere tutta la storia, ma per vedere cosa stanno diventando. E’ chiaro che questi movimenti sono stati una grande esperienza di lotta collettiva, hanno permesso ai partecipanti di sentire che cosa è un rapporto di forza e il potere dell’azione di massa in  un tale scontro. Questi movimenti mescolavano contestazioni proletarie (contro i prezzi elevati, la disoccupazione...) e rivendicazioni riformiste (democrazia...).
Oggi, dopo l'euforia della "vittoria" viene l'amarezza della disillusione. L'esercito egiziano non è più l'alleato del popolo, ma forza coercitiva che garantisce la salvaguardia della classe dominante e la sostenibilità del funzionamento sociale, la situazione economica è sempre dura e la quotidianità della maggioranza della popolazione non è cambiata.
Abbiamo già sottolineato che, come tali, questi movimenti non potevano portare ad una opposizione cosciente al MPC. In assenza di un legame con movimenti di classe di grandi dimensioni, il mix delle rivendicazioni di classe (contro il carovita, ecc.) e delle rivendicazioni riformiste rischiava di mantenere la dinamica di questi movimenti di protesta nel quadro della logica del sistema. Questo è ciò cui stiamo assistendo oggi: coloro che non credono nelle riforme stanno emigrando, quelli che credono ancora nella riforme si sono recati alle urne in massa. Si può ipotizzare che la scelta delle frazioni Islamiste possa essere spiegata attraverso le speranze di cambiamento confidando in partiti che offrono un immagine "meno corrotta" e "vicino alla gente". Conosciamo il lavoro di sostegno sociale tradizionalmente svolto dalle organizzazioni islamiste. In un certo senso, esse si assumono i compiti dello stato sociale che non è svolto dagli Stati.
Ma sarebbe imprudente tirare una linea definitiva e disillusa sui movimenti della "primavera araba". L'esperienza di lotta che hanno fatto, le speranze di cambiamento di cui erano portatori, la complessità della loro dinamica, potrebbero legarsi ad eventuali futuri movimenti di classe. Poiché si può ben immaginare che la situazione economica continuerà a peggiorare, e che le rivendicazioni proletarie dirette contro gli effetti di questa crisi e dello sfruttamento emergeranno. Ma queste sono ipotesi…
Tra le proteste più inedite, troviamo i movimenti degli "indignati" e "Occupy".

Ciò che sembra importante è collegare la corrente degli "indignati" ai movimenti della "primavera araba". Va osservato per inciso che questo movimento "indignato" è nato in un paese che ha fatto l'esperienza della democrazia dopo la dittatura, trovandosi così a un passo dai paesi della "primavera araba". Abbiamo visto coesistere in questi movimenti di "indignati", delle illusioni sulla "vera" democrazia, ma anche una dinamica di rifiuto del funzionamento economico e sociale attuale, una messa in discussione su come riappropriarsi del terreno della vita politica e sociale, come cambiare le cose, il tutto con una pratica di discussione collettiva.
Su questi elementi positivi dobbiamo puntare. Non per entusiasmarci ingenuamente, ma perché questi movimenti fanno parte di una tendenza globale molto più profonda. Così, vedere solo l'illusione di una democrazia "più giusta, partecipativa...", vedere solo l'espressione di una piccola borghesia frustrata, vorrebbe dire perdere di vista le potenzialità fondamentali della messa in discussione delle prospettive offerte dal capitalismo.
Gli '"indignati" hanno ripreso una dinamica di contestazione già contenuta in modo embrionale nella "primavera araba" e hanno ulteriormente sviluppato una opposizione al sistema e hanno aperto una discussione sulla società. E' chiaro che non c’è una generalizzazione organizzata di questa protesta. Al contrario, le cose si sono svolte in una sorta di contagio tra Paesi. Il movimento "indignato" è partito dalla Spagna e ha viaggiato in diversi paesi in Europa fino in Israele.
Allo stesso modo, i movimenti "occupy" hanno portato la stessa dinamica di protesta e di auto-organizzazione. Partendo da New York, si sono estesi ad altre città, e nazioni, dal Canada all’Australia.

Ciò che bisogna trattenere da queste vari movimenti inediti è la messa in discussione che trasmettono. Non si tratta quindi di incensare questi movimenti, né di negare le illusioni in essi contenute. Ma la messa in discussione costituisce un elemento fondamentale del processo di consapevolezza del proletariato. Guardare e riflettere sul mondo, sul posto che occupa la nostra classe, sulle prospettive distruttive che il sistema capitalista, come rapporto sociale complessivo, offre agli esseri umani. È questa dinamica che dobbiamo capire, sostenere e mettere in una prospettiva storica. Lukacs, Storia e coscienza di classe: "Lo stesso processo che, visto dal lato della borghesia, appare come un processo di disaggregazione, come una crisi permanente, è per il proletariato, a dire il vero ugualmente sotto forma di crisi, un accumulo di forze, il trampolino di lancio verso la vittoria. Sul piano ideologico, questo significa che questa stessa comprensione crescente dell'essenza della società, dove si riflette la lenta agonia della borghesia, apporta al proletariato una continua crescita di potenza".
Il fatto che questa messa in discussione si accompagni alle illusioni, a risposte riformiste, riflette il fatto che lo sviluppo della coscienza politica è un processo. Vale a dire, una dinamica globale, eterogenea e irregolare. La chiarezza non potrà che emergere da questa confusione, dallo scontro con la classe dominante e con le trappole della sua ideologia, lo sappiamo.
E, in particolare, la reazione della classe dominante a questi vari movimenti si sviluppa su tre piani: l’inquadramento, la volontà di spazzare via queste espressioni con operazioni di polizia, il recupero della contestazione come il  movimento G1000 in Belgio. E questo lavoro svolto da varie frazioni della classe dominante rende ancora più necessario il nostro lavoro di sostegno alla dinamica della messa in discussione e della rottura che si esprime attualmente.
Questa messa in discussione è fondamentale per lo sviluppo della comprensione del funzionamento dell’MPC come rapporto sociale globale, per la comprensione degli antagonismi di classe. I movimenti della “primavera araba”, "indignati" e "occupy" non hanno prospettive da soli. Al contrario, la potenzialità della messa in discussione che trasmettono dovrà essere ripresa dai movimenti di classe. Troppo spesso, le reazioni che si verificano sul luogo di produzione si limitano a rivendicazioni specifiche (salari, occupazione). La coscienza politica è un fenomeno vivo, eterogeneo che si nutre di esperienze multiple. La messa in discussione generale del funzionamento del capitalismo deve connettersi con gli scioperi e con le manifestazioni di lotta sui luoghi di produzione, ponendo così le rivendicazioni in una prospettiva più globale e generale.

1 commento:

  1. Mi domando, come sia possibile produrre analisi come queste! Sono semplicemente deleterie per la comprensione della realtà e fanno il gioco del padrone. A Roma il 15 ottobre gli indignati applaudivano la polizia che picchiava i compagni, i quali con grande coraggio e determinazione avevano mandato in frantumi il progetto qualunquista della lotta alla casta. Progetto apprezzato financo da quel pescecane della moneta di Draghi! Gli indignati, gli occupy, gli arancioni e le cosiddette primavere rientrano nei piani elaborati dalle centrali imperialiste. Questa analisi è stata fatta quindi, come suol dirsi, dall'amico del giaguaro, dall'intrigante di professione.

    RispondiElimina