da Perspective Internationalist
n.56, 2012
Il periodo attuale è caratterizzato da
un accentuazione del confronto tra il funzionamento economico e politico imposto dal MPC (modo di produzione capitalista)
e le reazioni di protesta e di opposizione a questo funzionamento.
Dal 2008, la crisi economica
ha avuto un approfondimento molto
chiaro, rivelando sempre di più i meccanismi e le prospettive distruttive
globali del capitalismo mondiale.
Le contraddizioni interne al sistema non cessano di produrre i loro
effetti e adesso parti intere degli
Stati si stanno sgretolando. Questa
situazione è senza precedenti. Questa
è la fine dell'illusione del
"welfare state" e il dominio dell’attacco
brutale e generalizzato attraverso piani di austerità.
Per Perspective Internationalist
(PI), non esiste un nesso automatico tra gli effetti della crisi economica e lo sviluppo della lotta tra lo sviluppo della lotta e lo sviluppo della coscienza di classe.
Tuttavia, l'accentuazione
della crisi globale ha causato una accentuazione dei movimenti di protesta. Questo conferma quanto
abbiamo sottolineato in diversi recenti numeri di PI: il fatto che questa situazione di tensione mette in discussione le questioni storiche generali, cioè il futuro del
capitalismo, le prospettive per la sopravvivenza
del pianeta e dell'umanità, le
prospettive economiche e politiche globali in questo mondo dominato sempre più apertamente dalle violenze di ogni genere.
Le opposizioni alle manifestazioni della crisi, la messa in discussione del funzionamento
del sistema si
esprimono attraverso scioperi e manifestazioni,
ma anche in forme nuove e per questo
possiamo pensare ai movimenti che hanno animato la "primavera araba", il
movimento degli "Indignati" e il movimento "Occupy".
Tenuto conto di questa diversità delle
espressioni, dobbiamo porci due
domande. La prima sulla natura di classe di queste
reazioni: si tratta di reazioni proletarie?;
e la seconda sul potenziale contenuto
in queste espressioni diverse. E le due questioni non
sono necessariamente correlate, questo riflette la complessità della situazione attuale. Così,
le trasformazioni di cui dobbiamo
tener conto, nel valutare i movimenti di opposizione, è la ricomposizione del
proletariato e l'esistenza di masse
di esclusi “definitivi” dal sistema. L’abbiamo già sottolineato, il proletariato
di oggi ha visto i suoi contorni e la sua composizione rimodellate
dall’evoluzione del MPC. Da un lato, elementi ex appartenenti alle cosiddette "classi medie" si sono ritrovati
proletarizzati, e dall'altra, gli
esclusi non costituiscono più l'esercito di riserva
dei disoccupati che saranno reintegrati nel circuito del lavoro, ma
esistono ormai come massa marginalizzata, vivono spesso in una specie di economia parallela. Tenuto conto
di questa diversità e di questa
complessità di composizione del
proletariato e quindi, delle
espressioni di opposizione e di
protesta, dobbiamo porci la questione
della natura di classe in modo diverso rispetto al passato. Prima, i movimenti di classe erano quelli dei "colletti blu" e tendevamo
a utilizzare criteri specifici
per definire la natura di classe
di un movimento. Il
movimento era auto-organizzato,
al di fuori dei sindacati, ecc.
Oggi, le molte forme
di organizzazione del lavoro, la composizione eterogenea del proletariato devono
porre la questione della natura di classe in termini di dinamica dei movimenti di opposizione.
Queste domande sulla ricomposizione del proletariato, sulle "nuove forme di lotta", sulla dinamica come criterio di comprensione dovrebbero trovare un posto di rilievo nelle discussioni all'interno del milieu rivoluzionario. La domanda torna
regolarmente sul tappeto: attraverso i movimenti dei giovani delle periferie, i tumulti per la fame in Africa,
i saccheggi londinesi di questa estate. C'è un problema
reale di comprensione per i rivoluzionari.
Perché dopo la questione di come capire i movimenti viene quella di che cosa
dobbiamo sostenere o di che cosa dobbiamo condannare?
La prima espressione
di resistenza agli effetti della crisi è stata costituita
dai movimenti di sciopero e dalle manifestazioni proletarie sul luogo di
produzione. Sono movimenti
che interessano tutti i continenti,
reazioni contro i bassi salari,
la perdita dell’occupazione, il costo
della vita, la mancanza di abitazioni, ecc. In breve, movimenti di
risposta allo sfruttamento capitalista.
Si deve rilevare la consistenza dei movimenti che avvengono in Cina. Da
un lato, questi movimenti sono
quasi permanenti, spesso molto violenti,
di massa e hanno messo in dubbio alcuni aspetti dello
sfruttamento capitalista. Così, la classe dominante cinese è stata costretta a rivalutare i
salari globali e ad alleggerire un po’ l'enorme pressione esercitata sui lavoratori.
Ciò è estremamente importante non tanto per
i lavoratori stessi ma per i capitalisti. Sappiamo che la crescita incontrollata dell'economia
cinese è prevalentemente legata a bassi salari e al
grande numero di ore di lavoro settimanali. Gli incessanti movimenti di classe così come
l’alleggerimento della pressione diretta sul proletariato hanno un
impatto negativo diretto sui profitti
delle imprese in Cina, e quindi,
sul paese che rappresenta il motore per
l'economia globalizzata. Un altro
aspetto è la presa di fiducia
nella forza collettiva che questi piccoli risultati danno al proletariato cinese.
D'altra parte, numerosi scioperi e proteste si sono prodotti
in vari paesi europei in reazione ai drastici piani di austerità che gli Stati
sono obbligati ad attuare per cercare di arginare la crisi del debito e il
rischio di fallimento. Qui, ciò che è nuovo è la prospettiva: mentre fino a
poco tempo fa, si parlava ancora dello "stato sociale" e i conflitti
sociali opponevano i lavoratori ai padroni, i conflitti che si hanno oggi
oppongono i lavoratori al loro Stato o anche alla politica globale europea. E anche
se questi movimenti sono portatori di illusioni o con "un altra gestione"
o con l’uscita dalla zona dell'euro, si inscrivono comunque in
una dinamica molto più generalizzata e quindi, potenzialmente più unificante.
Vi è anche una potenziale perdita di illusioni rispetto al sistema capitalista
stesso: le "perle" dell'economia globale, i fiori del "ricco”
mondo economico sono a rischio di esaurimento e sono di fronte agli stessi
problemi degli Stati dei paesi "emergenti". L'economia statunitense è
in difficoltà, gli Stati europei non possono rimborsare i propri debiti e sono
sull'orlo del fallimento... Triste immagine del capitalismo!
È all'interno di questo contesto di piani di austerità che
sono apparsi sulla scena della contestazione, i “giovani”... Giovani proletari,
giovani studenti, giovani greci, francesi o londinesi, quelli che dicevamo
cresciuti nell’egoismo individuale e nell’immediatezza, si battono ora con le
armi dei loro genitori, in modo collettivo, a volte con attenzione per
l'auto-organizzazione, contro le misure che attaccano il loro quotidiano, ma
anche, in modo generale, il loro futuro in questa società. È chiaro che ciò
contribuisce in modo molto significativo alla messa in discussione globale e della prospettiva che offre il sistema attuale e rappresenta quindi un
potenziale in rapporto allo sviluppo della coscienza politica. Inoltre, abbiamo
sottolineato a sufficienza il concetto di esperienza di lotta e delle tracce che
lascia questa esperienza. Abbiamo spesso sottolineato la frattura storica che
esiste tra la tradizione della lotta della " vecchia classe operaia "
e il proletariato ricomposto di oggi.
I movimenti di rivolta della generazione del futuro rappresentano
anche un possibile legame tra forme di organizzazione 'classica' (assemblee
generali, la riscoperta degli scritti politici) e le "nuove forme di lotta"
con l'uso di moderne tecnologie e nuove forme di organizzazione del lavoro.
Le rivolte per la fame e i saccheggi
sono frequenti. Questa forma di rottura sociale merita una certa
attenzione. Da un lato, si
svilupperà in futuro
con la crescita dell’impoverimento
e con l’esistenza di masse di esclusi permanenti dal sistema produttivo. Da l'altro, solleva la
questione della valorizzazione del
suo contenuto ogni volta (ogni
saccheggio è diverso dall’altro) così come i possibili legami con i movimenti di classe.
Anche qui, sembra che la dinamica interna
al movimento costituisca un elemento fondamentale per
valutare il movimento stesso. Così,
movimenti che si legano ad altre parti del
proletariato non sono espressioni
proletarie. I saccheggi che hanno
avuto luogo a Londra questa
estate hanno visto questo tipo di
azioni violente dirette contro la classe. E citando Merleau-Ponty, Le
avventure della dialettica: "Quando diciamo che il fine giustifica
i mezzi, risulta per noi che il gran fine rivoluzionario respinge con i suoi
mezzi i processi e i metodi indegni utilizzati da una parte
della classe lavoratrice contro l'altra (...) » (...)" Ogni atto rivoluzionario
non è efficace solo per ciò che fa,
ma per ciò a cui fa pensare ".
Non si può parlare di agitazione sociale senza tornare
brevemente sui movimenti della "Primavera araba". Non per riprendere tutta
la storia, ma per vedere cosa stanno diventando. E’ chiaro che questi movimenti
sono stati una grande esperienza di lotta collettiva, hanno permesso ai
partecipanti di sentire che cosa è un rapporto di forza e il potere dell’azione
di massa in un tale scontro. Questi movimenti
mescolavano contestazioni proletarie (contro i prezzi elevati, la
disoccupazione...) e rivendicazioni riformiste (democrazia...).
Oggi, dopo l'euforia della "vittoria" viene
l'amarezza della disillusione. L'esercito egiziano non è più l'alleato del
popolo, ma forza coercitiva che garantisce la salvaguardia della classe
dominante e la sostenibilità del funzionamento sociale, la situazione economica
è sempre dura e la quotidianità della maggioranza della popolazione non è
cambiata.
Abbiamo già sottolineato che, come tali, questi movimenti
non potevano portare ad una opposizione cosciente al MPC. In assenza di un
legame con movimenti di classe di grandi dimensioni, il mix delle
rivendicazioni di classe (contro il carovita, ecc.) e delle rivendicazioni riformiste
rischiava di mantenere la dinamica di questi movimenti di protesta nel quadro
della logica del sistema. Questo è ciò cui stiamo assistendo oggi: coloro che non
credono nelle riforme stanno emigrando, quelli che credono ancora nella riforme
si sono recati alle urne in massa. Si può ipotizzare che la scelta delle
frazioni Islamiste possa essere spiegata attraverso le speranze di cambiamento
confidando in partiti che offrono un immagine "meno corrotta" e "vicino
alla gente". Conosciamo il lavoro di sostegno sociale tradizionalmente
svolto dalle organizzazioni islamiste. In un certo senso, esse si assumono i
compiti dello stato sociale che non è svolto dagli Stati.
Ma sarebbe imprudente tirare una linea definitiva e
disillusa sui movimenti della "primavera araba". L'esperienza di
lotta che hanno fatto, le speranze di cambiamento di cui erano portatori, la
complessità della loro dinamica, potrebbero legarsi ad eventuali futuri
movimenti di classe. Poiché si può ben immaginare che la situazione economica
continuerà a peggiorare, e che le rivendicazioni proletarie dirette contro gli
effetti di questa crisi e dello sfruttamento emergeranno. Ma queste sono
ipotesi…
Tra le proteste più inedite, troviamo i movimenti degli
"indignati" e "Occupy".
Ciò che sembra importante è collegare la corrente degli "indignati" ai movimenti della "primavera araba".
Va osservato per inciso che questo
movimento "indignato" è nato in un paese
che ha fatto l'esperienza della democrazia dopo
la dittatura, trovandosi così a un passo dai paesi della "primavera araba".
Abbiamo visto coesistere in questi
movimenti di "indignati", delle illusioni sulla "vera" democrazia, ma anche una dinamica di rifiuto del funzionamento
economico e sociale attuale, una messa in discussione su come riappropriarsi
del terreno della vita politica e sociale, come cambiare le cose, il tutto con una pratica di discussione collettiva.
Su questi elementi positivi dobbiamo
puntare. Non per entusiasmarci ingenuamente, ma perché questi movimenti fanno parte di una tendenza globale molto più profonda. Così,
vedere solo l'illusione di una democrazia "più giusta, partecipativa...", vedere solo l'espressione di una piccola borghesia frustrata, vorrebbe dire perdere di vista
le potenzialità fondamentali della messa in discussione delle prospettive offerte
dal capitalismo.
Gli '"indignati"
hanno
ripreso una dinamica di contestazione già contenuta in modo embrionale nella "primavera araba" e hanno ulteriormente sviluppato una opposizione al sistema e hanno aperto una discussione sulla società. E' chiaro che non c’è una generalizzazione organizzata di questa protesta. Al contrario, le cose si sono svolte in una sorta
di contagio tra Paesi. Il
movimento "indignato"
è partito dalla Spagna e ha viaggiato in diversi paesi in Europa fino in Israele.
Allo stesso modo, i movimenti "occupy" hanno portato
la stessa dinamica di protesta e di auto-organizzazione. Partendo da New York, si sono estesi ad altre città, e
nazioni, dal Canada all’Australia.
Ciò che bisogna trattenere da queste
vari movimenti inediti è la messa in discussione che trasmettono. Non si tratta
quindi di incensare questi movimenti, né di negare le illusioni in essi
contenute. Ma la messa in discussione costituisce un elemento fondamentale del
processo di consapevolezza del proletariato. Guardare e riflettere
sul mondo, sul posto che occupa la nostra classe, sulle prospettive distruttive che il sistema capitalista, come rapporto sociale
complessivo, offre agli esseri umani. È questa dinamica che dobbiamo capire,
sostenere e mettere in una prospettiva storica. Lukacs, Storia e coscienza di classe: "Lo stesso processo che, visto
dal lato della borghesia, appare come un processo di disaggregazione, come una
crisi permanente, è per il proletariato, a dire il vero ugualmente sotto forma
di crisi, un accumulo di forze, il trampolino di lancio verso la vittoria. Sul
piano ideologico, questo significa che questa stessa comprensione
crescente dell'essenza della società, dove si riflette
la lenta agonia della borghesia, apporta al proletariato una continua crescita
di potenza".
Il fatto che questa messa in
discussione si accompagni alle illusioni, a risposte riformiste, riflette il fatto che lo
sviluppo della coscienza politica è un processo. Vale a dire, una dinamica
globale, eterogenea e irregolare. La chiarezza non
potrà che emergere da questa confusione, dallo scontro con la classe dominante
e con le trappole della sua ideologia, lo sappiamo.
E, in particolare, la reazione della
classe dominante a questi vari movimenti si sviluppa su tre piani:
l’inquadramento, la volontà di spazzare via queste espressioni con operazioni
di polizia, il recupero della contestazione come il movimento G1000 in Belgio. E questo lavoro
svolto da varie frazioni della classe dominante
rende ancora più necessario il nostro lavoro di sostegno alla dinamica della
messa in discussione e della rottura che si esprime attualmente.
Questa messa in discussione è
fondamentale per lo sviluppo della comprensione del funzionamento dell’MPC come
rapporto sociale globale, per la comprensione degli antagonismi di classe. I movimenti
della “primavera araba”, "indignati" e "occupy" non hanno
prospettive da soli. Al contrario, la potenzialità della
messa in discussione che trasmettono dovrà essere ripresa dai movimenti di classe. Troppo spesso, le reazioni che si
verificano sul luogo di produzione si limitano a rivendicazioni
specifiche (salari, occupazione). La coscienza politica è un fenomeno vivo, eterogeneo che si nutre di esperienze multiple. La messa
in discussione generale del funzionamento del capitalismo deve connettersi con gli scioperi e con le manifestazioni di
lotta sui luoghi di produzione, ponendo così le rivendicazioni
in una prospettiva più globale e generale.
Mi domando, come sia possibile produrre analisi come queste! Sono semplicemente deleterie per la comprensione della realtà e fanno il gioco del padrone. A Roma il 15 ottobre gli indignati applaudivano la polizia che picchiava i compagni, i quali con grande coraggio e determinazione avevano mandato in frantumi il progetto qualunquista della lotta alla casta. Progetto apprezzato financo da quel pescecane della moneta di Draghi! Gli indignati, gli occupy, gli arancioni e le cosiddette primavere rientrano nei piani elaborati dalle centrali imperialiste. Questa analisi è stata fatta quindi, come suol dirsi, dall'amico del giaguaro, dall'intrigante di professione.
RispondiElimina