Letture di classe
Arrigo Cervetto: da Bakunin a Lenin
passando per Bordiga
dall’etica alla
scienza, saltando la lotta di classe
Guido La Barbera, Lotta
Comunista. Il gruppo originario 1943-1952, Lotta Comunista, Milano,
2012, pp. 270, € 10,00.
Come dice il titolo, il
libro descrive la formazione del gruppo che, a metà degli anni
Sessanta, avrebbe dato vita a Lotta Comunista. Per essere più
precisi, più che del gruppo, si parla dei passaggi teorico-politici
percorsi da Arrigo Cervetto, per superare le originarie posizioni
anarchiche e approdare al leninismo. Inoltre, con l’eccezione di
Pier Carlo Masini, gli altri compagni del «gruppo originario»,
restano sullo sfondo, compreso Lorenzo Parodi, che in quel milieu
anarco-comunista ebbe un ruolo non secondario.
In linea generale, Lotta
Comunista appartiene a quell’area che si richiama alla Sinistra
comunista «italiana», di cui condivide alcuni fondamentali
capisaldi, come il rigetto del socialismo in un solo Paese e,
sostanzialmente, la critica alle tattiche frontiste stabilite al
Terzo congresso dell’Internazionale comunista (1921); altre
questioni, per esempio l’antiparlamentarismo, risultano più
sfumate. Sul piano della prassi politica, invece, Lotta Comunista
brilla per posizioni e comportamenti che sarebbe eufemismo definire
opportunisti.
Tornando al piano
teorico, le differenze con la Sinistra «italiana» si definirono via
via che, nel corso degli anni Cinquanta, Cervetto andò elaborando
una particolare concezione del «leninismo«, da cui emerse il
concetto di «partito scienza». Questi aspetti sono stati trattati
da Giorgio Amico e Yurii Colombo nel loro libro[1], cui rimando;
d’altro canto esulano dal periodo esaminato da La Barbera –
concentrato in particolare sugli anni cruciali 1948-1952 –, anche
se ovviamente egli ne accenna. Voglio soffermarmi, invece, su una
questione che ritengo di grande importanza, le cui implicazioni sono
assolutamente attuali e scottanti. Mi riferisco alla critica dello
Stato.
Lo Stato leviatano
Alla fine degli anni
Quaranta, Cervetto, con la preziosa collaborazione di Pier Carl
Masini iniziava a sottoporre a una critica impietosa l’esperienza
anarchica. Ne aveva ben donde. Dopo il ventennio fascista e il
tragico epilogo spagnolo, il movimento anarchico italiano annaspava,
e non solo sul piano organizzativo, ma anche su quello
teorico-politico, manifestando difficoltà ad affrontare la
situazione creatasi alla fine della Seconda guerra mondiale.
La Barbera scrive che
agli inizi del 1949 Cervetto giunse a Lenin grazie alla critica
bordighiana dello Stato, in merito alla quale sostenne che «Bordiga
ha ripreso dagli anarchici tesi che questi non hanno sviluppato»[2].
L’affermazione è pesante. A ben vedere, Cervetto non capì mai
Bordiga, tanto è vero che lo considerò un teorico del
superimperialismo di kautskiana memoria[3]. Ma non è questo il
problema. Solo in seguito, alla fine degli anni Settanta, egli
avrebbe cercato di approfondire la questione dello Stato nella teoria
marxista, alla luce del leniniano Stato e rivoluzione, ma soprattutto
delle tesi di Bucharin sullo Stato leviatano[4]. Da cui risultava
evidente che il marxismo mai fece concessioni allo Stato.
A questo punto, viene
spontaneo domandarsi come mai negli anni Quaranta e Cinquanta –
nonostante la diffusione di Stato e rivoluzione di Lenin –, si
fosse verificata quella strana dicotomia tra il marxismo e la critica
dello Stato, da cui l’obiettivo della sua estinzione/abolizione;
dicotomia che aveva indotto Masini e Cervetto a considerarla una
tematica squisitamente anarchica[5].
La genesi immediata di
questa dicotomia è riconducibile all’indomani della rivoluzione
d’Ottobre, quando la struttura economico-sociale russa si rivelò
estremamente debole per affrontare le esigenze che il governo
sovietico si trovava di fronte; le debolezze furono supplite da un
interventismo statale che presto pervase tutta la società con le
note conseguenze politiche: burocratizzazione e formazione di un ceto
privilegiato, equiparabile alla borghesia classica, anche se non
deteneva la proprietà formale dei mezzi di produzione, e comunque
incline a venire a patti con il mondo capitalista. Con la crisi del
1929, fascismo e new deal rooseveltiano esaltarono l’intervento
dello Stato, traendo ispirazione, obtorto collo, da quanto avveniva
in Unione Sovietica; l’interventismo statale divenne quindi la
bandiera degli ambienti social-comunisti vicini a Mosca, ma anche di
quelli democratico-progressisti. Quando poi lo statalismo
occidentale, con il suo welfare, si dimostrò nettamente superiore al
modello sovietico, contribuì a dare nuova linfa a una marea di
illusioni che sono tutt’ora vive e vegete, di fronte ai selvaggi
attacchi neoliberisti. Me lo statalismo non ne può essere
l’alternativa.
Feroce critico del
modello statalista – comunque inteso – fu Bordiga che, alla fine
degli anni Quaranta aveva iniziato a pubblicare una serie articoli in
cui toccava l’argomento a partire dai fondamenti teorici (Proprietà
e capitale) ed esaminando via via le grandi questioni del momento,
come le natura economico-sociale sovietica, new deal, welfare, ecc.
ecc[6].
Nello sviluppo delle sue
elaborazioni, Bordiga non faceva altro che applicare la marxiana
critica dell’economia politica, criterio analitico che suscitò in
Cervetto una profonda ammirazione, che lo indusse a esclamare: «Non
credevo che il marxismo, e soprattutto il leninismo, potesse essere
un’arma così potente»[7].
Entusiasmo perfettamente
comprensibile, in confronto all’impasse in cui versava il movimento
anarchico, di fronte agli avvenimenti grandiosi e tragici della prima
metà del Novecento, la cui comprensione e valutazione non poteva
essere affidata a quella pur apprezzabile spinta etica, che ha sempre
caratterizzato le iniziative anarchiche, sia l’educazionismo come
la «propaganda del fatto».
Il lato cattivo
Una volta scoperto il
«grande metodo» marxista, Cervetto si applicò con diligenza,
compilando meticolose ricerche su quanto avviene nella vita economica
e nelle relazioni internazionali, dimostrandosi tuttavia più fedele
alla forma che alla sostanza della marxiana critica dell’economia
politica. Egli ha scattato delle belle fotografie che però, per
quanto dettagliate, non colgono le dinamiche interne ai processi
descritti. Seguendo il suo esempio, è poi sorta una scuola
«leninista», in cui l’economia – avulsa dall’antagonismo
sociale che la sottende, che Marx chiama «il lato cattivo» – è
veramente una «triste scienza».
Il percorso che
all’inizio degli anni Cinquanta Cervetto intraprese non fu
assolutamente lineare, anzi fu molto contraddittorio; ripercorrendolo
oggi, si rivive un profondo travaglio politico e intellettuale, in
cui si intrecciano meditati dubbi e ardite illazioni – tra l’altro,
egli intendeva «superare Lenin[8]». Di conseguenza, è difficile
esprimere un giudizio esaustivo e pacato; tuttavia, i frutti della
sua elaborazione – alla luce di quasi mezzo secolo di attività di
Lotta Comunista – mi inducono a ritenere che, fin dall’inizio,
nel suo approccio al marxismo ci fosse una fondamentale distorsione.
Etica, scienza e lotta di
classe
Cervetto abbandonò
l’impronta etica dell’anarchismo e la sostituì con una visione
scientista dei rapporti sociali, considerati come rapporti tra cose
(ovvero rapporti reificati), che invece – secondo Marx – sono
rapporti tra uomini, mascherati da rapporti tra cose, appunto. E
questi rapporti hanno una storia di conflitti, in cui si definisce
l’autonomia politica e teorica dei proletari e, benché essa appaia
inscritta nel modo di produzione capitalistico, ne costituisce il
lato antagonistico.
Cervetto, volendo
superare il presunto astrattismo di Bordiga (e della Sinistra
comunista), adottò criteri scientisti anche per gli aspetti
organizzativi, proponendo il «partito scienza». Detto in altri
termini, egli riteneva di risolvere i problemi politici del movimento
operaio e della rivoluzione proletaria con mezzi organizzativi,
recuperando inconsapevolmente la ricetta di Stalin che, scacciato
dalla porta, rientrava dalla finestra. Chi mastica un po’ di
teorica marxista è costretto ad ammettere, per non cadere
nell’idealismo, che la teoria del proletariato è un prodotto dei
conflitti di questo mondo. E tanto più il conflitto di classe è
alto, tanto più la teoria proletaria è alta. Negli anni Cinquanta,
l’elaborazione di Bordiga e della Sinistra comunista «italiana»
(nonché di comunisti di sinistra, da Pannekoek e Mattick) era frutto
dell’onda lunga della mareggiata rivoluzionaria dei primi decenni
del Novecento; una volta esauritasi, si disperse in mille flutti, e
non ci furono espedienti organizzativi che la potessero sostituire.
A mio avviso, nel
marxismo lo scientismo rappresenta una degenerazione, o meglio
un’aporia (prima con il positivismo/Histomat della Seconda
internazionale poi con il Diamat della Terza), mentre mi risulta che
esso abbia allignato organicamente nelle file anarchiche, almeno in
passato. Per cui si potrebbe arguire che la parabola «leninista» di
Cervetto non sia estranea all’originaria Weltanschauung anarchica;
argomento che varrebbe la pena di approfondire, dal momento che tocca
un insieme di esperienze che vanno ben oltre al caso specifico. Ciò
non di meno, penso che lo scientismo non rappresenti un’alternativa
alla dimensione etica, anzi: per quanto «incontrollata», la
dimensione etica favorisce sempre una spinta verso lo scontro di
classe[9]. E forse fu proprio grazie a quella spinta etica che il
giovane Cervetto, operaio tra gli operai, partecipò alle lotte
dell’Ilva di Savona. Ed è questo ciò che conta.
Dino Erba, Milano, agosto
2012
[1] Giorgio Amico -
Yurii Colombo, Un comunista senza rivoluzione. Arrigo Cervetto:
dall'anarchismo a Lotta Comunista. Appunti per una biografia
politica, In appendice: Franco Astengo: Gli ultimi decenni della
Savona operaia. Massari Editore, Bolsena, 2005.
[2] Guido La Barbera,
Lotta Comunista. Il gruppo originario 1943-1952, Lotta Comunista,
Milano, 2012, p. 54.
[3] Ibidem, p122-123.
[4] Gli articoli di
Cervetto sullo Stato furono scritti tra il 1977 e il 1989; vennero
poi raccolti e pubblicati con il titolo L'involucro politico,
Edizioni Lotta Comunista, Milano 1994. Su Stato e rivoluzione, cfr.
Vladimir Ili’c Lenin, Stato e rivoluzione e lo studio preparatorio
Il marxismo sullo Stato, a cura di Pio Marconi, La Nuova Sinistra –
Samonà e Savelli, Roma, 1972. Sullo Stato leviatano, cfr. Nikolaj
Ivanovic Bucharin, Lo Stato leviatano. Scritti sullo Stato e la
guerra 1915-1917, A cura di Alberto Giasanti, Edizioni UNICOPLI,
Milano, 1984. Nikolaj Ivanovic, Bucharin L’imperialismo e
l’accumulazione del capitale, Laterza, Bari, 1973.
[5] Ricordo che in Stato
e anarchia Bakunin giudicò Marx «uno statalista accanito». Sulla
questione dello Stato tra anarchici e marxisti si è sedimentata una
certa confusione, in cui spesso le rispettive posizioni sembrano
invertirsi, come si può vedere in Nicolaj Bucharin - Luigi Fabbri,
Anarchia e comunismo scientifico. Un teorico marxista ed un
anarchico a confronto, Zero in Condotta, Milano, 2009, nonché il
«clasico» Arthur Lehning, Marxismo e anarchismo nella rivoluzione
russa, Samizdat, Pescara, 1999. Per un opposto – e ben più
fondato – giudizio vedi Maximilien Rubel, Marx teorico
dell’anarchismo, in Maximilien Rubel, Marx critico del marxismo,
Introduzione all’edizione italiana di Bruno Bongiovanni, Cappelli,
Bologna, 1974.
[6] Cfr. in particolare
A. Orso [Amadeo Bordiga], Proprietà e capitale, apparso in sette
puntate su «Prometeo»: dal n. 10, giugno 1948 al n. 3-4, aprile
1952, ora in: Amadeo Bordiga, Proprietà e capitale, Iskra, Milano,
1980.
[7] Lettera di A.
Cervetto a P. C. Masini, 29 luglio 1949, ora in Guido La Barbera,
Lotta Comunista. Il gruppo originario 1943-1952, op. cit., p. 57.
[8] Lettera di A.
Cervetto a P. C. Masini, 1° marzo 1950, ora in Guido La Barbera,
Lotta Comunista. Il gruppo originario 1943-1952, op. cit., p. 65.
[9] Volendo buttare
benzina sul fuoco, cito – condividendola – l’opinione di Rubel:
«Marx è uno dei primi ad aver formulato un’etica proletaria, e ad
essersi sforzato di fondarla su una sociologia “materialista”;
[…] L’adesione di Marx alla causa proletaria è anteriore alla
giustificazione scientifica di tale adesione: è il frutto di una
decisione etica e non della “critica dell’economia politica”».
Maximilien Rubel, Scienza, etica e ideologia, in Maximilien Rubel,
Marx critico del marxismo, op. cit., p. 291.
Nessun commento:
Posta un commento