venerdì 24 febbraio 2012

CON UNA RIPRESA COME QUESTA CHI A BISOGNO DI RECESSIONE?

Perspective Internationaliste, n.54
internationalist-perspective.org

La recessione è finita ma la crisi continua ad approfondirsi. Che l'economia globale sia in crescita, anche se a bassa intensità, non è una sorpresa, tenuto conto delle migliaia di miliardi spesi dai governi per stimolarla. Ciò non impedisce che molte di queste misure siano già in via di esaurimento e che l'impatto dell’aumento della spesa pubblica si riduca a un filo...



Ma invece di prendere ulteriori misure per stimolare l'economia, i governi di tutto il mondo stanno facendo il contrario: il grido di battaglia della classe capitalista è 'austerità!'. Più un paese è colpito dalla crisi attuale, più impone tagli drastici nella spesa pubblica. La sinistra dice che è il contrario di ciò che bisogna fare e, a prima vista, sembra avere ragione: tutta questa austerità non può ulteriormente ridurre la domanda e quindi peggiorare la crisi, aprendo la strada a un nuova recessione. E' vero, ma è anche vero che un governo che non prendesse queste misure e lasciasse le spesa pubblica crescere, lo pagherebbe a caro prezzo dopo, sotto forma di fuga di capitali, inflazione e un aumento dei tassi di interesse che gli renderebbero impossibile finanziare il suo deficit e bloccherebbe il settore privato. Così, con poche eccezioni, non hanno molta scelta. L'impatto delle misure di stimolo è stato meno efficace del previsto. I capitalisti non vogliono che il loro Stato 'butti il denaro buono dietro al cattivo”, e tutti sperano che qualcun dia una spinta alla domanda.
In molti paesi i tassi di profitto sono in aumento così come le scorte, ma la disoccupazione continua ad aumentare, i salari continuano a diminuire, le pensioni e lo stato sociale continuano ad essere ridotti. Per la classe lavoratrice non c'è alcuna ripresa. Per lei, la “ripresa” implica solo che coloro che hanno ancora un lavoro ora dovranno lavorare di più. Ma i benefici hanno incluso molto più di ciò che la modesta ripresa della crescita potrebbe suggerire. Sono minori i risultati di un aumento delle vendite che quelli dell’abbassamento dei costi della manodopera. Questo erode ulteriormente la domanda della classe lavoratrice e aggrava l’eccesso di capacità globale. Questo pone anche la domanda: se la ripresa dei profitti ha richiesto un tale aumento di disoccupazione e miseria, che cosa succederà con la prossima recessione?
Per un economista partigiano dell’economia dell’offerta o per la sua controparte marxista, difensore del dogma “la sola contraddizione è la caduta tendenziale del saggio di profitto”, un aumento del tasso di profitto forte e veloce come l’abbiamo visto negli ultimi tempi, non può essere un problema. Secondo loro, se il profitto c’è, sarà investito nella produzione. Ma questo non avviene: l'aumento del profitto non si traduce in un aumento degli investimenti produttivi. I detentori del capitale sono diffidenti, temendo che ciò che appare come una buona opportunità di investimento oggi, possa risultare domani una bolla. Così si aggrappano al loro denaro.
Le banche sono di nuovo in piedi (grazie alle centinaia di miliardi presi ai contribuenti) e sono pieni di denaro liquido, ma sono molto riluttanti a concedere prestiti. Raramente sono stati così attaccati ai loro soldi. Il denaro è a buon mercato in questo periodo, ma solo per coloro che ne hanno già molto.
L'austerità non è solo una politica di governo, ma anche una politica aziendale, una politica bancaria, anche una politica di consumo. Tutti risparmiano di più e spendono meno, temendo quello che il futuro potrebbe portare. Il che implica che la domanda di moneta aumenta più rapidamente della domanda di altri beni. Come merce generale, il denaro fa circolare le altre merci e si sostituisce ad esse in innumerevoli transazioni. Ma come merce particolare, il denaro si ritira dal processo di circolazione, è ricercato per se stesso, per la sua (apparente) capacità di immagazzinare valore. Come merce particolare, è in concorrenza con altre merci. Più la domanda di denaro “per il denaro” cresce, più si riduce la domanda complessiva. Si tratta di un processo che si autoalimenta, chiamato deflazione. Diventerà la parola alla moda nella prossima fase della crisi. La domanda di denaro (nel senso più ampio: tra cui stock option, obbligazioni, oro, ecc ..) aumenta perché è l'unica merce che non ha bisogno di essere venduta per mantenere il suo valore. Tutte le altre devono essere vendute più o meno immediatamente e se la domanda non è sufficientemente elevata per poter essere vendute al loro valore, devono essere vendute al di sotto del loro valore. E la domanda non può essere sufficientemente elevata quando una parte sempre crescente di potere d’acquisto viene rimossa al fine di aumentare il valore astratto. Così, i prezzi tendono a scendere. Questa è stata una tendenza di fondo dell'economia globale per un certo periodo, ma ora ritorna in primo piano.
Come fenomeno di superficie, la deflazione può essere facilmente controllata iniettando più denaro nella circolazione. Questo è quanto è successo negli ultimi decenni e ha visto una accelerazione durante la prima reazione dello Stato alla crisi scoppiata nel 2007.
Questo continua in una certa misura. Si crea ancora denaro ad un ritmo accelerato, in particolare negli Stati Uniti. L'amministrazione Obama non ha ancora stabilito una politica di austerità dura. Questo potrebbe cambiare dopo le prossime elezioni del Congresso. La prevista vittoria repubblicana potrebbe dare una scusa politica ad Obama per mettere in pratica la stessa politica che di tagli dei suoi partner europei.
Eliminare la deflazione in superficie non aiuta perché la superficie - il livello dei prezzi - non è il vero problema. Il vero problema è sotto: la difficoltà crescente ad aumentare la produzione per aumentare il valore nel campo della produzione verso la tesaurizzazione, cosa che causa una fuga del valore. Iniettare più denaro porta alla de-valorizzazione della moneta, che non risolve il problema della de-valorizzazione delle merci, ma ne crea uno nuovo. L'inflazione fa perdere al denaro la sua capacità di stoccare valore, quando la domanda cresce. Quindi il capitale va verso ciò che può dare l'illusione di resistere a questa tendenza generale al ribasso.
Quindi gli Stati e le aziende si fanno concorrenza sui tagli dei salari e dei bilanci, al fine di tesaurizzare. Se non lo facessero sarebbero puniti dalla fuga di capitali. Altri si fanno una concorrenza differente: manipolano i tassi di cambio delle rispettive valute per mantenere artificialmente un basso prezzo per i loro prodotti sui mercati di esportazione. Questo sgonfia i prezzi prima ancora che i prodotti raggiungono il mercato a scapito dei lavoratori che li hanno prodotti. La recente accelerazione di questa tendenza ricorda le svalutazioni competitive degli anni 30. C'è odore di disperazione.
Ma che altro può fare un capitalista in un momento come questo? Con la prospettiva di deflazione, la reazione logica è di tagliare i costi ancora di più, per proteggere la sua linea di fondo. La deflazione non è necessariamente un disastro per il capitale se sono i lavoratori, l'ambiente, la società nel suo complesso a pagarne il prezzo. Ma ciò che il capitale non può impedire è che la contraddizione tra i suoi interessi e quelli dell'umanità diventi sempre più evidente. Quello che non può impedire è il conflitto di classe. La resistenza della classe lavoratrice esprime la volontà dell'umanità di vivere, contro il mostro apparentemente autonomo che è l'accumulazione del capitale.

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