domenica 5 febbraio 2012

Sulla reificazione


Sulla reificazione
da Perspective Internationaliste, n.53, 2010

Come prendere in considerazione le fluttuazioni della crisi attuale del capitalismo in funzione degli interessi di classe, sapendo che storicamente gli elementi costitutivi che permettono il funzionamento e la reazione contro lo sfruttamento non svolgono lo stesso ruolo oggi?
Cosa è che fa si che queste reazioni siano cosi timide, nonostante l'importanza della crisi, nonostante le richieste provenienti da coloro che pretendono di parlare in nome della classe?. Chiaramente le spiegazioni "classiche" della crisi non sono sufficienti a dare un senso agli eventi attuali. Allora, cosa succede? C'è l'integrazione del proletariato alla logica del capitalismo?
Dobbiamo prima capire il significato delle variazioni del capitalismo e l'impatto sul proletariato. Vari economisti come Hans-Georg Backhaus, Helmut Reichelt, Werner Bonefeld, Moishe Postone, e Anselm Jappe cercare di rispondere usando il concetto di alienazione.
Introduzione

Questo concetto di alienazione non è nuovo. Esistono varie sensi. Raymond Carver, Harold Brodkey, Michel Houellebecq utilizzano anche loro questo termine. Nell’etica, Martha Nussbaum chiama reificazione il trattare strumentalmente le altre persone. Esso può essere considerato come trasgressione dei principi morali. Si tratta di un comportamento umano, che mette in evidenza i finti sentimenti, l'opportunismo, l’auto- manipolazione, la gestione delle emozioni messa in evidenza nelle opere contemporanee. Inoltre l’approccio strettamente naturalistico che spiega gli effetti e le azioni umane attraverso la sola analisi delle connessioni neuronali nel cervello è qualificato come reificante.
Ma molto tempo prima, Marx utilizzò il concetto di alienazione per spiegare l'evoluzione del proletariato in funzione dei rapporti sociali trasformati dal capitalismo e dell'effetto dello sviluppo del valore. Egli vedeva la  reificazione come un fenomeno specifico, con il quale i rapporti tra gli esseri umani prendono la forma di relazione tra le cose. Lukacs riprese questo concetto e teorizzò l'azione del proletariato come risposta alla reificazione. Questo prestò il fianco ad una critica della Scuola di Francoforte, negli anni cinquanta. Questa teorizzava l’insufficienza del superamento della reificazione e sosteneva l'impossibilità di un movimento rivoluzionario del proletariato.
Questa discussione fu importante. Ed è importante riprenderla precisando i concetti. Nel capitalismo, le relazioni umane si dissolvono in rapporti di valore, ma, mentre i capitalisti traggono potere e ricchezza e si fanno agenti volontari del capitale, i lavoratori vivono questa dissoluzione come una perdita, un alienazione di se stessi, una forma di schiavitù. Si tratta di un processo storico che ha assunto forme diverse a seconda dello sviluppo dei rapporti di produzione. La reificazione è il processo che trasforma il soggetto in oggetto. Questo è il processo in corso all'interno della accumulazione capitalistica.
È quindi importante cogliere l'evoluzione del concetto:
1. In Marx.
2. In Lukacs.
3. Nella Scuola di Francoforte.
4. Questo ci permetterà in seguito di sviluppare una nostra comprensione attuale della evoluzione del capitale, e capire la risposta dei lavoratori e del proletariato. Questo articolo costituisce una prima parte per poi andare oltre.
1. Reificazione in Marx
Il concetto di reificazione appare in Marx nel 1859, dove dice che "i rapporti sociali tra le persone appaiono per così dire come invertiti, come un rapporto sociale tra le cose"
Più tardi, nel primo volume del Capitale, egli afferma che "la materialità dei rapporti di produzione deriva dalla struttura interna dell'economia di mercato. Il feticismo non è solo un fenomeno di coscienza sociale, ma di esseri sociali"
Ma nell'opera di Marx, questo concetto assumer varie forme. Nei primi tempi, Marx parla di alienazione o di separazione. Più tardi, quando sviluppa la teoria del feticismo della merce, userà le nozioni di lavoro fisso o reificato, feticismo o teoria del valore. Queste tre formulazioni sono diversi approcci per lo stesso problema, la determinazione della attività creativa dei lavoratori nella forma capitalistica dell'economia.
Per Marx il primo approccio dell’analisi delle relazioni sociali nella società capitalistica si fa attraverso il concetto di alienazione o di separazione.
Nel 1844, Marx pose l'alienazione come inerente ai rapporti sociali in una società capitalistica in cui una classe si appropria del lavoro che un'altra classe aliena. Definendo attraverso l'analisi critica l'alienazione dell'uomo da se stesso, l'alienazione del prodotto del suo lavoro e anche della sua stessa attività, Marx solleva la questione dell’abolizione di queste forme di disumanizzazione, e la possibilità di ripristinare una società umana. In alcuni passaggi dei Manoscritti del 1844, Marx identifica il comunismo come un ritorno alla natura umana, “il ritorno all'essenza dell'uomo".
Marx prese a prestito questo concetto da Hegel, pur criticando i contenuti che quest’ultimo gli aveva dato. Eppure nel 1845, nel suo Tesi su Feuerbach, Marx critica chi ha detto che l'essenza dell'uomo rimane isolata, antistorica, e, quindi, astratta.
Per Marx "l'essenza dell'uomo non è un'astrazione inerente all'individuo isolato. Nella realtà, è l'insieme dei rapporti sociali.". Secondo Marx, Feuerbach "... Non conosce altri rapporti umani, tra uomo e uomo che l'amore e l'amicizia, e anch’essi idealizzati… quindi non arriva mai a comprendere il mondo sensibile come la somma delle attività vivente e fisica degli individui che lo compongono ".
Nell’Ideologia tedesca (1845-46), poi nella Miseria della filosofia (1847), Marx considerò l'uomo in termini più concreti. Considerò il mondo degli oggetti come un mondo di attività umane concrete, di attività creatrici: "acquisendo nuove forze produttive, gli uomini cambiano il loro modo di produzione e cambiando il modo di produzione ... cambiano tutti i loro rapporti sociali ... ".
Successivamente, Marx porta l'"essenza" umana nella storia, che equivale ad affermare che l'uomo non ha altra essenza che la sua esistenza storica.
Sul progetto di portata storica, "gli uomini hanno ogni volta raggiunto il livello di emancipazione che gli era prescritto e permesso non dal loro ideale di uomo ma dalle forze produttive esistenti".
Marx ha risolto l'essenza dell'uomo nelle condizioni storiche in cui l'uomo vive ed è stato quindi portato ad abbandonare il conflitto tra l'uomo alienato della società capitalistica e la sua essenza umana non alienata.
Più tardi, nel primo libro del Capitale, egli afferma che "che la materializzazione dei rapporti di produzione deriva dalla struttura interna dell'economia di mercato.”
Marx riduce così l'essenza umana nella storia ciò equivale ad affermare che l'uomo non ha altra essenza che la sua esistenza storica, questo fa dire a dire che Marx "la somma delle forze di produzione, del capitale, delle forme di rapporti sociali che ogni individuo e ogni generazione trovano come dati, è il fondamento reale di ciò che i filosofi hanno rappresentato come –sostanza- e -essenza dell'uomo-".
Per trasformare la teoria dell'alienazione dei rapporti umani in una teoria della reificazione dei rapporti sociali, Marx solleva la questione del rapporto tra alienazione e feticismo della merce. Egli considera che è qui che risiede il fondamento del concetto di reificazione (o materializzazione o oggettivazione) dei rapporti sociali.
Queste tre formulazioni sono diversi approcci per lo stesso problema, la determinazione della attività creativa dei lavoratori nella forma capitalistica dell'economia. Il feticismo non è solo un fenomeno di coscienza sociale, ma per di “essere sociale"
Ma ponendo questo problema, Marx supera il socialismo utopistico che rimane alla negazione della realtà in nome di un ideale e pone la necessità di una ricerca in questa stessa realtà, delle forze di sviluppo e del movimento. Mette in evidenza che il legame tra alienazione e feticismo della merce risiede nel concetto di reificazione (oggettivazione o materializzazione) dei rapporti sociali.

2. Reificazione in Lukacs

Lukacs riprende, da Marx, da Weber, e da Simmel, una definizione elementare di reificazione. Sviluppa i suoi elementi nel suo più importante libro Storia e coscienza di classe, in particolare nel capitolo La reificazione e la coscienza del proletariato. Lukacs considera la reificazione come il fatto che una relazione tra persone prende il carattere di una cosa. La reificazione si riferisce al processo cognitivo con cui viene percepito un essere umano come una cosa. Si tratta di una definizione di base che considera che un essere umano, che non possiede nulla è considerato come cosa.
Per Lukacs, la reificazione non è vista come una violazione dei principi morali, ma come una mancanza di riconoscimento della pratica umana, della razionalità umana. Egli difende una certa ontologia sociale.
Ma questa spiegazione elementare, deve per Lukacs essere ricollocata in un contesto sociale basato sull'estensione dello scambio mercantile, che con la costituzione delle società capitaliste è diventato il modo dominante dell’attività umana.
Per Lukacs, nel modo di scambio capitalistico, le relazioni tra gli individui vengono valutate in base agli interessi specifici. Si tratta dello scambio mercantile che, con la costituzione delle società capitalistiche, è diventato il modo dominante dell’attività intersoggettiva.
Con l'evoluzione del capitale, i soggetti sono costretti a registrare il loro rapporto con la società come un rapporto reificato. Cose da cui si  può trarre profitto. Si parla di cosificazione, dove il soggetto, il trattamento strumentale, le capacità personali sono trasformate in elementi economicamente redditizi.
Così Lukacs riunisce questi elementi per spiegare le cause della reificazione: la comprensione quantitativa dell'oggetto, il trattamento strumentale degli altri, la trasformazione delle sue qualità in competenze per la ricerca del profitto. Non si tratta di una semplice fenomenologia, di cambiamenti di atteggiamenti, così Lukacs ritrova la descrizione di Marx del fenomeno del feticismo della merce.
Quando il processo di reificazione sta avvenendo, il soggetto non è più coinvolto in modo attivo nei processi attraverso i quali agisce sul mondo circostante. Sembra ignorare i vari eventi.
Lukacs ritiene che con l'espansione del rapporto mercantile, gli uomini abbandonano la loro posizione di soggetti, perché costretti a comportarsi in relazione alla vita sociale in osservatori distaccati. Nella sfera in continua espansione dello scambio mercantile, i soggetti sono costretti a comportarsi in relazione alla vita sociale, come osservatori distaccati piuttosto che come partecipanti attivi. Questa è la ricerca del profitto che razionalizza il comportamento.
A causa della socializzazione, il sistema di comportamento reificante si sviluppa. Il trattamento strumentale degli altri è un fatto sociale, prima di essere morale.
In realtà vi è una trasformazione, nel senso che l'uomo è portato a non partecipare più all’azione sociale. Diventa uno spettatore, contemplatore non coinvolto.
Nello scambio mercantile i"soggetti" si costringono reciprocamente a percepire gli oggetti solo come "cose" da cui si può trarre profitto, a vedere i partner come oggetti di una transazione interessata, a rapportarsi alle loro proprie facoltà solo come risorse o competenze per aumentare il profitto. Questa posizione richiede una postura razionale, il più possibile esente dalle emozioni. Per uscirne, basterebbe rovesciare il rapporto con l'oggetto.
Tutto l'approccio classico alla educazione va in questa direzione. Si tratta di sviluppare la capacità del soggetto perchè egli possa partecipare allo scambio in termini di competenze misurabili, della loro utilità. E’ necessario che i soggetti cosi formati considerino a loro volta il mondo come un'entità cosificabile, modificabile. La trasformazione è vista così dal lato dell'oggetto. Lukacs ritiene che la reificazione trovi i suoi limiti nella coscienza del proletariato, in quanto critica della merce.

3. La concezione della Scuola di Francoforte

Perché, contrariamente alle previsioni di Marx, la polarizzazione di classe e la rivoluzione proletaria non si sono ancora manifestate? Si chiede la Scuola di Francoforte.
Se Lukacs pensava che la reificazione trovava i suoi limiti nella coscienza del proletariato, in quanto critica della merce, la Scuola di Francoforte denuncia questo concetto come una dichiarazione di un principio idealista. La tesi di Lukacs, che considera che nel proletariato l’identità del soggetto e dell’oggetto permette il superamento della reificazione, è idealista. La critica della Scuola di Francoforte porta ad una negazione del carattere rivoluzionario del proletariato. Per la Scuola di Francoforte, la società capitalista si sta muovendo verso una reificazione totale.
La teoria critica è stata sviluppato nel 1920-1930, in particolare da Horkheimer e Adorno. Gli altri principali partecipanti a questa corrente sono Benjamin, Marcuse e Habermas. La Teoria Critica è una nuova critica della ragione, dei suoi vicoli, delle sue aporie, delle sue antinomie. La Scuola di Francoforte si oppose al neo-kantismo (che separa i giudizi di fatti e i giudizi di valore), al realismo di Lukacs, al realismo socialista, alla fenomenologia di Husserl quanto a quella di Hegel nella filosofia, così come allo stalinismo e al fascismo in politica. C'è un certo ritorno a Kant, passando attraverso Nietzsche, che è anche lui un critico della ragione, ma non a beneficio della comprensione e del giudizio. Anche Nietzsche sviluppa una critica della civiltà e del progresso. Ma questo meriterebbe di essere approfondito.
Come Assoun e Raulet hanno dimostrato in Marxismo e teoria critica, si tratta anche di una integrazione dei concetti kantiani in un quadro storico nuovo. La ragione diventa un riferimento essenziale della Teoria Critica, perché soltanto essa può armare il soggetto storico di una coscienza critica, una coscienza di sé come soggetto della storia e coscienza del mondo come un oggetto, insieme ostacolo e strumento di emancipazione. Ma se la ragione è emancipatrice, ha anche fondato la nascita del capitalismo, attraverso una appropriazione razionale della natura. E questo porta al disastro. Questa opposizione, paradossalmente in se perderà la sua natura dialettica, e si rivelerà essere l'ostacolo strumentalizzato che spingerà il mondo verso la riproduzione dell’olocausto.
Il contatto spesso critico con la fenomenologia e la filosofia esistenzialista riflette la necessità per la Scuola di Francoforte di prendere posizione non solo rispetto alle deviazioni di una filosofia esistenzialista deviata ai fini della legittimazione dello stato autoritario, e più in particolare dello stato stalinista, ma anche sulla questione fondamentale delle relazioni dell’essere nel mondo, in particolare attraverso la critica dell’irrazionalismo e il rifiuto di sopravvalutazione della singolarità dell’esistenza individuale in un processo che reintroduce un idealismo che perde il contatto con il mondo della storia materiale.
La tesi filosofica fondamentale della 'teoria critica' è la sfida della 'teoria dell'identità' alla quale Hegel ha dato la sua forma compiuta. E’ Horkheimer che l’ha espressa più chiaramente nello scritto del 1932 su Hegel e la metafisica. Dopo Hegel, scrive Horkheimer, la Ragione e la realtà sono considerati identiche: la Ragione consente l'accesso alla realtà, essa apprende la realtà in modo oggettivo e positivo. Vi è identità di soggetto e oggetto. E' questa identità che la teoria critica cercherà di decostruire e respingere:
"Negare la dottrina dell’identità, significa ridurre la conoscenza a una semplice manifestazione, condizionata da molteplici aspetti, determinati della vita degli uomini [...]. [Ma] l'affermazione dell’identità è fede pura [...]. Conosciamo unità estremamente diverse nella natura e nei campi più diversi, ma l'identità del 'pensiero' e dell'essere è solo un "dogma" filosofico, in quanto presuppone che ciascuno di questi momenti sia uno solo: cosi il pensiero, l’essere, la storia, la natura". Horhkeimer, Hegel e la metafisica

La Scuola di Francoforte deve seguire un sentiero stretto. Bisogna offrire una critica e una riflessività del sapere senza cadere in modi di risoluzione fallaci del paralogismo dell’identità, positivismo e irrazionalismo tra gli altri. Dobbiamo, allo stesso tempo confermare il razionalismo rinnovandolo.
Gli esempi di dominazione abbondano e sembrano essere presenti in tutti i settori della vita: la dominazione delle donne da parte degli uomini nel matrimonio borghese, degli animali negli esperimenti, del salariato nell’impresa, del cittadino nello stato, del paesaggio da parte dell'industria turistica, dell'ecosistema da parte dell'industria, della ricerca musicale da parte della sua immediata recezione o redditività, ecc.
Per Adorno, questa visione di dominio che si esprime principalmente nella Dialettica dell’illuminismo, scritto in collaborazione con Horkheimer nel contesto storico della seconda guerra mondiale, è presente in altre opere come estensione in diverse aree di analisi critica della Ragione. Ha la duplice natura di sviluppare il potenziale di libertà con la realtà di oppressione, tenendo separate le istanze della ragione e della natura.
La dialettica della ragione presa come dialettica negativa. Questo superamento non può essere fatto attraverso il "positivismo della società". Al positivismo, la Scuola di Francoforte oppone la "dialettica negativa", cioè la consapevolezza del mondo come negazione del soggetto storico, e questo momento critico dello spirito che tende, per utopia o per rivolta sociale, a negare questa negazione per superare ogni alienazione.
La Dialettica dell’illuminismo (1944) è una descrizione apocalittica della ragione (auto) distruttiva. Lungi dal illuminare il mondo, l'Illuminismo e la ragione lo portano inevitabilmente al disastro.
L'intero sistema di pensiero della modernità è il portatore di questo disastro. Questo tema centrale di Adorno è accoppiato con l'Aufklarung, gli illuministi, o come lo definisce in apertura della Dialettica dell’illuminismo, "il pensiero in progresso che aumenta sicuramente il controllo sulla natura, ma allo stesso tempo è una regressione, che impoverisce la sua esperienza della natura, incluso la propria." Ciò che l’essere umano cerca di imparare dalla natura è come usarla per dominare lei e l’essere umano stesso. Null’altro conta.
La specie umana, guidata dal principio di auto-conservazione o conservazione di se, priva di dialettica a causa della contraddizione persistente tra la sua pretesa e la sua realizzazione, tra il suo concetto e come è in realtà, lavora parzialmente, nella direzione opposta del progresso, progresso che va verso una felicità diffusa, specialmente sostituendo i mezzi previsti dalla ragione, quindi lo scopo di questi mezzi. Ciò si traduce attraverso l'irrazionalità delle attività dell'uomo in cieca storia naturale. Così l'uomo è spinto a sviluppare questo negativismo, per spiegare i disastri, l'Olocausto.
Lo scopo della razionalità, la felicità, è dimenticato. Se lei nomina tutti i mezzi destinati a dominare la natura, il suo scopo resta un mezzo, e la ragione non razionale. L'autoconservazione attaccata alle sue risorse, impoverisce la vita del soggetto e mutila il mondo, in particolare la capacità umana di differenziazione, qualitativa, la sua capacità di sperimentare il mondo e gli altri, che a poco a poco non è più praticata ed è sostituita con prestabiliti schemi di pensiero, che cercano di preformare e standardizzare gli individui e i loro impulsi sul modello della merce, al fine di lavorare alla conservazione della società così com'è. Il compito della filosofia è quindi di criticare questo spirito di autoconservazione per aiutare gli altri a se stessa per una consapevolezza, preludio a una possibile trasformazione delle condizioni di vita determinate, Adorno è d'accordo con Marx, dal modo di produzione capitalistico della società.
Nel campo della conoscenza questa dominazione di un principio limitato dall’auto-conservazione implica che il soggetto ritrovi se stesso come oggetto del suo studio invece di trovare un oggetto vero, l'ideale della conoscenza per Adorno è l'amore, portare vicino l’oggetto che è distante.
La teoria critica rifiuta cosi la teoria della coscienza di classe sviluppata da Lukacs.
Assistiamo quindi ad una deriva di una posizione un marxista rivoluzionaria verso weberianismo malinconico di sinistra, o anche solo una sociologia critica di comunicazione sviluppata da Habermas, oggi.
E' ovvio che la teoria di Lukacs, amputata del concetto di coscienza di classe, e soprattutto se il proletariato come una forza di emancipazione, non viene rimpiazzato, la negazione della reificazione diventa problematica. Infatti, se il proletariato non è più un vettore di una coscienza capace di trascendere la reificazione, allora può essere solo una vittima del dominio, della repressione. Inoltre, il processo sociale, anche nello sviluppo di una estrema reificazione, lascia sempre spazio per la disobbedienza.
La Scuola di Francoforte, paradossalmente, non tiene conto della doppia dialettica delle classi sociali, e non riesce a vedere, storicamente, che una classe dominata è sempre sia una classe contestataria sia una classe reazionaria. Mentre giustamente critica l’identità tra ragione e realtà, considera però che si tratti di una entità data. Non fa più una distinzione tra soggetto e oggetto, sostenendo che tutto è ridotto a dominazione.
La Scuola di Francoforte si trova di fronte a questo dilemma, e cerca di superarlo trovando una risposta per Horkheimer nella religione, per Adorno nell’estetica, per Marcuse nell'ambientalismo.
L'abbandono della teoria della coscienza di classe ha spianato la strada al malinconismo di sinistra, difeso da Benjamin.
Questi autori, pur criticando le difficoltà del proletariato di andare la reificazione, non oppongono in alcun modo al concetto di reificazione. Al contrario, essi sviluppano una visione universalizzante, assolutista e ontologica della reificazione. La conclusione è ovvia per loro, la reificazione è totale.
Ma che dire di questa affermazione? Se la reificazione è totale, la critica diventa impossibile. Questa constatazione rifiuta la teoria critica.

4. Quello che pensiamo

Come superare il dilemma? La discussione che vogliamo lanciare porta alle implicazioni della reificazione. Se questo concetto permette di comprendere l'evoluzione del proletariato in conseguenza dei cambiamenti del capitalismo, si tratta di superare l'impasse della teoria critica.
Il capitalismo è un sistema di produzione, che fin dall'inizio, disumanizza i rapporti sociali, introducendo il rapporto monetario al valore. È questo rapporto con il valore che si evolve storicamente e dialetticamente in funzione dello sviluppo delle forze produttive. Ciò si riflette in una crescente penetrazione del valore, in qualche modo accentuando la disumanità del capitale, la reificazione. Ciò si traduce in una processione organizzata di violenze per difendere la valorizzazione del capitale contro la caduta tendenziale del tasso di profitto, in un contesto di concorrenza sempre più accentuato tra i vari capitali.
Storicamente, il capitalismo è il risultato di una lunga lotta per rendere possibile la libertà di comprare e vendere. La lotta della borghesia nascente si limita alla difesa della libertà di mercato.
E se la legge del valore teorizzato da Marx è una caratteristica costante dei rapporti capitalistici di produzione, il suo movimento, la sua estensione sono il prodotto storico di una situazione in classe, che nel 19° secolo non aveva ancora occupato l'intero campo dell’accumulazione possibile, lasciando spazio di manovra alle diverse classi sociali che subivano l'attacco frontale del rapporto capitalistico.
Questo processo interessa tutta la società capitalista. Ciò significa che il funzionamento della legge capitalista del valore penetra a poco a poco la società nel suo insieme, che ogni poro della società è invaso e trasformato dal funzionamento della legge del valore, che tutti i settori di esistenza sociale sono tendenzialmente invasi dalla legge del valore. Quello che impedisce che una tale totalità attuata dalla legge del valore diventi una totalizzazione da cui non c'è via di scampo è il fatto che la legge del valore ha le sue proprie contraddizioni, contraddizioni che costituiscono la base per il suo rovesciamento.
La questione è quella della possibilità di una resistenza che non può essere risolta che attraverso un posizionamento dialettico che permette di superare la visione metafisica di una missione storica della classe proletaria.
La metafisica e il positivismo sono approcci essenzialisti che considerano l'uomo dall’esterno e tentano di chiarire la natura del suo essere e del suo carattere: la loro indagine si concentra sull’ essere in sè. Ciò corrisponde alla strategia leninista che considera che solo una forza esterna, il partito può sviluppare il movimento rivoluzionario.
La dialettica è al contrario necessariamente e deliberatamente una pratica in quanto si basa sulla constatazione della modificazione della coscienza grazie al mondo esterno e viceversa.
Come ogni dialettica, è un'evoluzione regolare e ininterrotta da una determinazione all'altra, da un polo di opposizione ad un altro. Ciò permette un superamento, consentendo il raggiungimento di nuove integrazioni e nuove sintesi provvisorie sempre di livello superiore.
La dialettica è una costante consapevolezza della necessità di una svolta nel pensiero umano attraverso la pratica.
Oppure la realtà è accettata come oggetto immutabile essenzialmente sempre identico a se stesso, o è riconosciuto come un oggetto sempre modificabile da una pratica cosciente, dall'azione di un soggetto. Oppure ci troviamo di fronte un mondo di eternità opaca e, in definitiva disumano, tutt’al più può essere modificato da un potere che aliena l'uomo, oppure ci vediamo nel mondo e agiamo su questo mondo che a sua volta agisce su di noi.
Per rispondere a questa domanda, ci sembra importante tornare alla prima definizione che propose Lukacs. Egli pone il problema in termini di totalità, in termini di divenire della totalità del mondo intero, vale a dire il processo di esperienza sociale e storico costituito dalla prassi. Questo metodo rifiuta la separazione, la frammentazione del processo lavorativo, l'atomizzazione della società in individui. Per Lukacs, il principio della categoria della totalità è portatore di un principio fondamentale della dialettica che suggerisce un rapporto dinamico tra soggetto e oggetto, tra la soggettività dell'attore e il fatto concreto, tra il mondo della cultura e il mondo della natura.
Il marxismo è una critica fondamentale delle prove della coscienza sulle quali posano i sistemi metafisici e le certezze religiose.
E 'chiaro che la conoscenza delle leggi della società è di per sé rivoluzionaria, il pensiero politico è dato dalle condizioni oggettive di quella società. La conoscenza delle leggi della società capitalistica sono invarianti, mentre le teorie politiche sono figlie del periodo storico.
Fondamentalmente, si tratta per l'uomo, il proletario, di superare la condizione imposta dal capitalismo. Se questo superamento fosse limitato alle condizioni della lotta economica o politica contro il sistema, ci si potrebbe accontentare di una buona strategia per mobilitare le masse. Questa concezione, ereditata dalla ideologia leninista è in bancarotta poiché non tiene contro del fenomeno dell’alienazione che fa si che l'uomo esiti quando è di fronte all’autonomizzazione, che l'uomo tende a riprodurre i rapporti sociali esistenti, per ricreare strutture identiche rassicuranti.
La paura di ciò che non si conosce, dell'avventura, paure rafforzate dal discorso ideologico dominante, dove viene fatto di tutto per accentuare la necessità di mantenere il legame, l’alienazione.
Così, l'illusione e la verità si scontrano, l'ansia e la fiducia causata da una realtà concreta incidono sulla rappresentazione simbolica delle forme di azione da intraprendere, per garantire la sopravvivenza e per determinare le forme di potere che emergono storicamente. Si tratta di una semplice constatazione, ma che permette di apprendere ciò che può essere umano, la sua evoluzione, e forse la sua involuzione. Ne L'ideologia tedesca, Marx riassume la questione della sopravvivenza umana: fin dall'inizio, gli uomini hanno trovato le condizioni favorevoli al loro sviluppo. Producendo i loro mezzi di sostentamento, trasformano la natura e si trasformano essi stessi.
La scienza permette di spiegare e capire il funzionamento della natura, del mondo, inglobando a poco a poco le relazioni create dalla vita dell'uomo stesso.
Con l'approfondirsi della crisi, i rapporti sociali possono dare l'impressione di essere sottomessi alla ricerca di finalità di base, terre-a-terre. Si tratta di una condotta prevalentemente strumentale. Non si tratta di sviluppare le forze produttive con una crescita sfrenata della produzione. Come molti altri, la produzione di beni, la logica economica, tecnicizzazione del mondo genera la schiavitù dell'uomo. Tale servitù è una sottomissione alla imperativo di una dominio "razionale" esercitato dalle cose, dai prodotti del lavoro umano che costituisce un’interfaccia, insieme barriera e mezzo di interazione tra uomo e natura. Soddisfare i propri bisogni, è dunque accettare e confermare la propria dipendenza nei confronti di una economia che per funzionare, deve produrre utensili e macchinari, e controllare la terra esercitando un dominio senza errori sulla natura.

Il superamento agisce in seno alla lotta generata dal riconoscimento del soggetto, che può essere solo collettivo attraverso la classe. A partire dal prendere in considerazione le interazioni individuali, che aprono la strada ad altre pratiche sociali alla creatività alla solidarietà

FD

traduzione a cura di Connessioni

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