lunedì 20 febbraio 2012

Sul processo Eternit, note all’articolo pubblicato sul blog di Connessioni


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Sulla vicenda della sentenza di tribunale in merito ad alcune morti bianche dell’amianto è stato pubblicato sul blog  un intervento che pone delle riflessioni più ampie. Viene giustamente spostata l’attenzione dal danno che può ricevere un lavoratore in seguito alla attività lavorativa alla nocività di quest’ultima. Viene anche avanzata l’idea che venga a costituirsi una  legislazione protettiva dei lavoratori in seguito alle lotte di questi ultimi.
Volendo essere un po’ più aderenti alla realtà del caso la nocività si è estesa senza dubbio alla famiglia. Molte mogli che lavavano le tutte dei mariti lavoratori hanno avuto contatto continuato con l’amianto. Non sarebbe difficile ricondurre la nocività ad un ambito più generale includendo anche l’ambiente. Ma restando nell’ambito della fabbrica si ha il pregio di condurre l’argomento evidenziando immediatamente il rapporto di classe interno alla produzione capitalista. Quello che poco convince degli argomenti dell’articolo è un concetto di lavoro e di forze produttive (non espressamente nominate ma riferite come macchinismo e divisione del lavoro), e una conduzione di una critica cosiddetta radicale del modo di produzione capitalista, che in realtà restano interne alle compatibilità di una produzione per la produzione, cioè per l’accumulazione del capitale. Il concetto di merce forza lavoro posto come necessità per il  lavoratore di vendere l’unica merce di scambio che possiede per la propria sopravvivenza, svanisce nel testo sotto un immediato passaggio alla attività lavorativa  confusa con la merce forza lavoro e infine diventata lavoro tout court. Quella che era iniziata come critica radicale di una società basata sullo sfruttamento si è conclusa con una timida proposta di socializzazione del lavoro, dei suoi aspetti positivi e dei suoi aspetti negativi. Il problema qui sta nel fatto che nel prospettare una critica radicale della produzione capitalista si è perso di vista quali sono i caratteri necessari che una critica radicale dovrebbe evidenziare per supporne il superamento. Non nascondiamo che  il problema non può risolversi in poche righe che riflettono sul problema della nocività dell’attività lavorativa. Cercheremo però di esporre alcune considerazioni emerse dalla lettura dell’articolo in questione.


Il Salario

L’idea che il problema del capitalismo nasca da uno sfruttamento della forza lavoro oltre il suo valore non è nuovo. Anzi alcuni autori hanno visto in questo la stessa possibilità del capitale di ottenere costantemente un plusvalore. Secondo Grossmann questo tipo di analisi fornisce una teoria del salario guidato dalla concorrenza, domanda e offerta di lavoro, rinunciando a spiegare il fenomeno della sua oscillazione attorno al valore mutabile della forza lavoro (Henryk Grossmann; “Saggi sulla Teoria delle Crisi”: Una nuova teoria dell’imperialismo e della rivoluzione sociale” De Donato). Nell’articolo viene espresso un concetto di nocività ineliminabile e non monetizzabile che è un altro modo per dire che il salario percepito dai lavoratori è ad  un livello inferiore dei costi di riproduzione della forza lavoro. Se questo evento è senza dubbio possibile non è comunque la necessità assoluta del capitale per lo sfruttamento della forza lavoro. Può anzi darsi il caso in cui il salario possa essere anche superiore al valore di quest’ultima.  Il valore della forza lavoro in un dato momento e in uno specifico ambito geografico è dato. Tuttavia il salario percepito può essere occasionalmente e concretamente venduto a prezzi  superiori o inferiori a dell’effettivo valore. Ma il valore della forza lavoro non coincide in nessun modo con le ore di lavoro effettivamente erogate da un lavoratore sul posto di lavoro. Il processo di valorizzazione, intimamente legato al processo produttivo, fa riferimento a generale forza lavoro umana, non al concreto uso della attività lavorativa conforme allo scopo di produrre uno specifico valore d’uso. L’unità nella merce del valore d’uso e del valore quantità di generale lavoro umano  socialmente necessario a produrla scaturisce proprio dalla differenza che esiste fra il valore della forza lavoro e il suo concreto applicarsi al processo produttivo. Il salario non retribuisce l’attività lavorativa, ma una quantità generica di ore lavorative del possessore della forza lavoro. Questo scambio, equivalente o meno, fa si che l’attività lavorativa e il prodotto di questa siano completamente messi a disposizione, alienati al capitalista.  Il salario non ha lo scopo monetizzare la nocività della attività lavorativa. In un momento e relativamente allo sviluppo dell’accumulazione il valore della forza lavoro può includere un certo livello di tutela del lavoratore, astraibile nel concetto più generale di costi di riproduzione della forza lavoro. Se per il capitale complessivamente, e quindi astrattamente, concepito la riproduzione della forza lavoro deve essere garantita, lo stesso non può dirsi per il singolo capitale (Vedi Aufheben The Housing Question Issue 13 2005 pag 3).

Sviluppo della Accumulazione intensità del lavoro crescita salariale

Se l’ipotesi semplificatrice che la giornata lavorativa di un certo numero di ore di lavoro sia costante si confronta con la realtà si perviene al concetto di intensità dell’attività lavorativa. (Grossmann opera citata). “Anche entro determinati limiti della giornata di lavoto (..) un aumento dei salari può diventare necessario, sia pure soltanto per mantenere il vecchio livello del valore del lavoro. Se si aumenta l’intensità del lavoro un uomo può essere costretto a consumare in un’ora tanta forza vitale quanta ne consumava prima in due ore” (K. Marx, Salario, prezzo e profitto, Editori Riuniti, Roma 1961, p. 85.). Così concepito il salario anche quando cresce e quindi apparentemente copre i maggiori disagi (maggiore intensità/nocività) creati dall’aumentata accumulazione non fa che adeguarsi al nuovo valore della forza lavoro. Ma è lo sviluppo delle forze produttive, la loro necessità di valorizzazione, unite al comando capitalista sulla concreta attività lavorativa a creare maggiore intensità/nocività della condizione lavorativa. “…La produzione agraria ha qualche contropartita, poiché tutta la patologia del capitalismo, che ossessiona le grandi agglomerazioni, meno fieramente appesta tuttavia le campagne e vi suscita minori bisogni soprattutto nella sfera di quelli distorti e morbisi. Ed il lavoro all’aperto, (….), sa ha i suoi terribili estremi di miseria e di degenerazione umana- soprattutto ove la piccola agricoltura,ipocritamente ammirata, ha il suo dominio- tuttavia non presenta certe punte disumane di soffocamento dell’uomo lavoratore e non lo costringe, di massima, a condizioni spietate di ambiente e di sforzo, se non muscolare, nervoso.(Bordiga: Mai la merce sfamerà l’uomo Iskra ottobre 1979 p258).
L’articolo sul processo Eternit, invece,  fa riferimento al macchinismo e alla divisione del lavoro come qualcosa che possa in qualche modo ridurre l’onere di un’ora di lavoro con il progredire dell’accumulazione. Mentre è vero esattamente il contrario. Il macchinismo e la divisione del lavoro vanno messe in discussione. L’aspetto progressivo del capitalismo consistente nella riduzione del lavoro necessario all’ottenimento delle merci non può scindersi dal problema che si tratta delle forze produttive messe in atto da una società basata sullo sfruttamento, il cui scopo è la produzione per la produzione. Il soddisfacimento dei bisogni umani che ci auspichiamo per i “consumatori” del futuro passano dal cambiamento dell’organizzazione del lavoro tutta, i bisogni della produzione non potranno essere anteposti a quelle dei produttori. La socializzazione del lavoro è già stata portata avanti e non poco da parte del capitale, ridurre il problema dell’organizzazione del lavoro ad un generica frase “socializzazione” degli aspetti negativi del lavoro(come fatto con le buone intenzioni nell’articolo)  pone un limite ingiustificato alla capacità creativa del processo di riproduzione sociale che impone il superamento del capitalismo.

Alcuni compagni di Connessioni
Febbraio 2012

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