martedì 7 febbraio 2012

una risposta all'appello dei compagni/e di Perspective Internationaliste


In merito all’appello dei compagni/e di Perspective Internationaliste
Alcuni compagni/e della redazione di Connessioni per la lotta di classe
Febbraio 2012

Sulle pagine del nostro blog, stiamo in questi mesi cercando di inserire e produrre materiali tesi alla manifestazione dei nuovi rapporti sociali dentro la lotta di classe stessa, cosi come diamo ampio spazio a tutti coloro (nella storia e nel presente) che sviluppano una critica all’asservimento capitalista alla legge del valore.
Abbiamo pubblicato l’appello scritto dai compagni di Perspective Internationaliste appello-allarea-pro-rivoluzionaria, un invito ai compagni a cogliere il momento, dentro le dinamiche che apre la crisi, perché anche noi vediamo come oggi si aprano scenari inediti e compiti diversi per tutti coloro che vogliono sviluppare la critica dell’economia politica, basti pensare al processo di de-integrazione che oggi investe la classe. Lo sottoscriviamo e lo diffondiamo, perché apprezziamo questo tentativo.
L’appello è rivolto a tutti quei compagni e compagne che si collocano già oggi sulla critica dell’economia politica, non va letto quindi come un generico appello all’unità delle sinistre. Le sinistre stesse che come più volte hanno ricordato i compagni di PI sul loro giornale e sui loro materiali, sono dentro la logica del capitale, dove nelle sue varianti più antagoniste arriva a ipotizzare una maggiore razionalizzazione del capitalismo stesso, così come un tempo si pensava che Taylor si potesse utilizzare nel socialismo…

Tuttavia riteniamo che fermarsi alla semplice constatazione che divisi si è più deboli, non basti a spiegare il perché esiste una dinamica –gruppuscolare- o una vera e propria -atomizzazione- dei gruppi e dei compagni (dove il problema non sono le decine contrapposte alle centinaia, ma l’isolamento di ogni ipotesi rivoluzionaria oggi, che rompe con le logiche dello stato e del capitale).
Il perché esistono -sette- (siano comuniste o anarchiche o autonome, poco importa) non è tanto dovuto all’esiguo numero dei loro militanti quanto ad una serie di –pratiche politiche- che sono specchio della fase che si attraversa. La supposta dialettica tra riforme e rivoluzione, la lotta quotidiana per richieste immediate che si trasformano in lotte contro il sistema, non porta ad una crescita evidente di una coscienza di classe rivoluzionaria. Lo stesso manifestarsi di nuovi rapporti sociali nella lotta di classe (in uno sciopero, in un movimento, in una occupazione ecc..) vista l’estrema parzialità (i rapporti sociali non sono i rapporti di produzione) tendono a venire immediatamente riassorbiti. Le organizzazioni che nascono in questi momenti, o che erano date, sono semplicemente delle organizzazioni della lotta di classe incapaci di fare il salto dalle riforme alla rivoluzione, e all’estensione e generalizzazione di nuovi rapporti sociali. Se rimane una esperienza proletaria delle lotte e del vissuto, questa è importante nella sua dinamica in potenza, non nella sua effettiva operatività, cosa di per sé che ci porta comunque a ritenere importante ogni momento di lotta di classe.
Ma le stesse aspettative di Marx sugli effetti rivoluzionari dell’accumulazione di capitale sulla coscienza della classe si sono rilevate erronee, per lo meno nella fase di ascesa dello sviluppo capitalista. Va visto se questa dinamica in realtà invece trovi conferma dentro una dinamica di discesa dello sviluppo capitalista, in questo senso riteniamo importante la categoria di de-integrazione e la stessa modificazione dell’esercito industriale di riserva per sottolineare i cambi di paradigma dell’attuale fase sociale scaturita dalla crisi.

E’ su queste basi che si deve analizzare lo sviluppo del settarismo e la sua possibile rottura.
Il concetto di setta si manifesta nel fatto che un certo numero di persone si riuniscano –sulla base di certe idee- e la loro attività consiste nella propaganda di queste idee. Le sette sono anche caratterizzate dall’aver un rituale organizzativo indipendente dalla realtà stessa, dalla lotta esterna, dalla stessa setta. Si riuniscono in congressi, assemblee, ecc… con poche decine o centinaia di persone dove vengono prese –decisioni di importanza storica- e dove si effettuano altrettante –storiche- scissioni. Non va meglio ai militanti sociali o sindacali, dove è più sfumata la dinamica di setta ma la rincorsa all’efficienza e al successo, se vista dentro una prospettiva di rottura, cozza inevitabilmente dentro meccanismi integratori, che di fatto rendono fallace ogni opposizione, rispetto a chi si colloca direttamente su un terreno di complicità di classe, in quanto questa posizione è la più adeguata alla fase.
Riteniamo che ogni tentativo di porsi al di sopra dalle dinamiche sociali porta inevitabilmente a ricadere dentro un meccanismo di presunta superiorità, con il suo corollario di controllo, egemonia, e di comportamenti che riproducono in piccolo (o anche in grande) la stessa merda della società che si dice di combattere. Bisogna innanzitutto saper rompere con l’astrazione ideologica e le vecchie forme, proprie di un terreno di scontro legato alla totalità astratta ed universale delle politica e collocarsi nella totalità concreta della lotta di classe e dei rapporti sociali capitalisti. Già questo primo passo ci farebbe discostare dalle logiche settarie.
L’avanguardismo (formale o informale che sia) visto come scorciatoia ai problemi (e sta qui la sua sempre verde attrattiva) in realtà porta sempre ad allontanarsi dalla critica dell’economia politica. Dove il problema non è la contrapposizione tra l’orizzontalità o la verticalità, anche se è indubbio che vi sono pregi e difetti di entrambi i metodi presi nella loro purezza e astrattezza.
Se una delle possibili sfaccettature del settarismo è insito dentro l’avanguardismo, perché si pensa sempre indispensabile e essenziale, dove il feticcio organizzativo diventa sostitutivo dell’autonomia proletaria stessa, tuttavia coinvolge altri aspetti. Il culto dell’intellettuale, della mano callosa, del professionismo, ecc… investono settori che sul piano teorico sono i primi a rifiutare queste logiche.
Tutte queste dinamiche assumono in fasi contraddistinte da meccanismi integratori una dimensione parossistica.

Detto questo non consideriamo inutile la ricerca, l’inchiesta il collegamento, l’azione tra compagni e compagne, ma riteniamo che bisogna sempre relativizzare il proprio agire e saper cogliere le dinamiche di classe, che sono specifiche alle dinamiche del capitale stesso, dove l’unica invarianza del capitalismo è la lotta di classe e non il comunismo. Rimaniamo perciò vicini a questa definizione data da A.Pannekoek quando analizzava il vecchio movimento operaio in un articolo del 1946, Il fallimento della classe operaia: “Quando si parla di fallimento della classe operaia, si parla in realtà di una fallimento legato a degli obiettivi troppo ristretti. La lotta reale per l'emancipazione non è ancora incominciata; sotto questo profilo, quello che convenzionalmente si chiama movimento operaio degli ultimi cento anni non è stato altro che una successione di scaramucce combattute da avamposti. Gli intellettuali, che hanno per abitudine di ridurre la lotta sociale a formule tra le più astratte e di renderle banali, hanno la tendenza a sottovalutare la formidabile ampiezza della trasformazione che deve essere operata".
Abbiamo voluto pubblicizzare l’appello dei compagni di Perspective Internationaliste, esperienza che apprezziamo, poiché riteniamo che l’attuale fase provochi una inedita de-integrazione che si materializza in una de-statalizzazione dei lavoratori e una maggiore possibilità di affermazione di quella che un tempo si sarebbe chiamata autonomia proletaria, dove è sicuramente utile un maggior collegamento e ricerca. Ogni insieme si costruisce non si fonda. Anche se datata e sicuramente modificabile, l’intuizione dei comunisti radicali degli anni 30 ci sembra quella che ancora oggi racchiude l’essenza dell’agire dei rivoluzionari che mettono al centro la critica dell’economia politica: “I gruppi non pretendono di agire in nome degli operai, ma si considerano essi stessi membri della classe operaia, i quali hanno avuto, per una ragione o l’altra, la possibilità di constatare che la tendenza sociale attuale procede nel senso del crollo del capitalismo, e in questa direzione cercano di coordinare le concrete attività degli operai. Essi sono coscienti di non essere niente più che gruppi di propaganda, in grado di suggerire linee necessarie di azione, ma incapaci di eseguirle nell’interesse della classe. Questo la classe deve farlo da sé” Socialismo del capitale e autonomia operaia, P.Mattick, 1939.
La possibile scommessa che oggi abbiamo davanti è che siamo immersi in un contesto dove la stessa percezione di benessere diffuso si fa più risicata, cosi come non è la volontà di un altro mondo possibile che fa sommuovere le dinamiche sociali, ma la fondamentale percezione che questo mondo è impossibile.

Pensiamo che il contributo dei compagni di PI, possa essere uno stimolo per tutti coloro, che oggi si sono resi conto dell’inadeguatezza del loro agire, una riflessione che vediamo che già oggi coinvolge compagni/e come noi che provengono da diverse esperienze. Il prendere consapevolezza di cosa non fare, è già per noi un primo passo verso il cosa fare.

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